Roma/Atac: quali insegnamenti dalle chiusure della metro

Ci sono vari insegnamenti da trarre dalla chiusura di alcune stazioni della metropolitana di Roma.

Anzitutto che sotto il tallone delle politiche austeritarie europee anche le cose più banali e quotidiane non sono scontate né acquisite. Siano le scale mobili della metro, le flebo in un ospedale o il riscaldamento a scuola.

Secondariamente dimostra l’importanza anche per gli operatori economici privati, specie per le piccole attività commerciali e artigianali di prossimità, di servizi pubblici efficienti e davvero al servizio della collettività: i cali nei volumi d’affari lamentati in questi giorni nelle aree interessate dalle chiusure, dicono tutto al riguardo.

Da ultimo, e per l’ennesima volta, esplicita tutte le criticità del sistema di appalti ed esternalizzazioni che rende, nei fatti, impossibile governare il servizio e avere una esplicita filiera delle responsabilità.

“Indipendenza” continua a coordinare le proprie rivendicazioni per arrivare ad un’Atac davvero indirizzata all’utilità sociale mediante la creazione di una società speciale di diritto pubblico sottratta alle dinamiche del mercato e del profitto.

Atac, a proposito di multe e assenteismo

Uber: un esempio di ‘capitalismo delle piattaforme’

Insieme per ricostruire il servizio pubblico di trasporto – trasformare Atac in Azienda Speciale – aprire il Comune alla partecipazione di lavoratori e utenti – iniziative del Comitato promotore

Bilancio della campagna (prima fase) di Indipendenza sul trasporto pubblico a Roma

Il manganello euroatlantico sul trasporto pubblico locale: Milano, Genova e Firenze

Atac: il NO al bar e al lavoro

CEDIMENTO SCALA MOBILE A ROMA: EFFETTI DELLA LIBERALIZZAZIONE / PRIVATIZZAZIONE DI ATAC!

Atac: noi non smobilitiamo!

Verso il voto: le ragioni del NO al referendum Atac

Atac/11 novembre: perché votare NO

Atac: il NO al bar e al lavoro

Perché NO

ass.indipendenza.info@gmail.com – info@rivistaindipendenza.org

Pubblicità

Atac/11 novembre: perché votare NO

ATAC: PERCHÉ VOTARE NO

documento aggiuntivo al comunicato politico 

  1. Il trasporto pubblico è uno dei monopoli naturali. Il privato persegue il profitto, il pubblico no e strutturalmente non è una differenza da poco. Metterli sullo stesso piano è più che forzato. Innescare meccanismi di concorrenza (se nei primi momenti può produrre meccanismi positivi) nel medio periodo determina un drastico peggioramento del sistema di trasporto pubblico locale. È un dato di fatto. Dimostrabile sulla base delle indagini in altre città e capitali in Europa si vede che si sta cercando di tornare al monopolio pubblico.  Quando si introducono questi meccanismi competitivi, di concorrenza, spessissimo tutto ricade sulla riduzione della manutenzione, sulla riduzione dei salari dei lavoratori, sulla riduzione complessiva della qualità del sistema di trasporto.

 

  1. Liberalizzare significa che le aziende senza rischio d’impresa utilizzano i finanziamenti pubblici, oltretutto usufruendo delle infrastrutture pubbliche (reti elettriche, binari, fermate, pensiline e probabilmente depositi) pagati dalla collettività. Ora, per ottenere un profitto, questo lo si ricaverà sulle spalle dei dipendenti (meno salario, peggioramento delle condizioni di lavoro, sfruttamento) e dei cittadini (taglio di linee non remunerative, soppressione di turni e bus in zone periferiche meno appetibili).

 

  1. Atac possiede l’80% (il 20% è già stato liberalizzato ed è gestito dal consorzio di imprese private Roma TPL) fin dai primi anni 2000 è stato avviato un lungo processo in vista della liberalizzazione e proprio dal 2009 si ha un peggioramento verticale del servizio. Con il referendum del 2011 non è più stata liberalizzata. L’Atac è lo status quo, il portato ideologico di una logica di liberalizzazione innescata nel 2009. Esternalizzazioni fallimentari. La stragrande maggioranza del debito di ATAC nasce dal fatto che il comune ha scaricato su ATAC le disfunzionalità operative ed i costi del servizio attraverso il meccanismo degli anticipi tra 2006 e 2009. Dal canto suo il consorzio privato Roma TPL non eroga affatto un servizio migliore rispetto a quello di ATAC e per giunta paga gli stipendi a singhiozzo.  PRIVATO E PUBBLICO. I cittadini romani possono infatti avere un termine di paragone guardando allo stato delle periferie dove il Comune ha affidato il 20% circa del servizio a Roma TPL. Lì la situazione è ancora più grave che nella parte di città servita da Atac. E il confronto con altre capitali europee chiarisce che le società pubbliche che ne gestiscono i servizi, oltre ad essere ben amministrate hanno come programmatori Enti pubblici capaci di governare i complessi problemi del settore. Laddove i fallimenti della privatizzazione si sono resi irrimediabili, si è determinato un avvio di rinazionalizzazione come nelle ferrovie inglesi. In un contesto concorrenziale è difficile imporre standard normativi a tutela dell’utenza, dei lavoratori, dell’ambiente non più garantiti dall’intervento pubblico. C’è un’ulteriore notazione: Atac è una Società per Azioni, ovvero un’impresa in cui la proprietà interamente pubblica non ne modifica lo scopo di lucro (nel nostro caso con effetti disastrosi). Prevalgono così sugli obiettivi sociali le valutazioni economico aziendali ed è per questo che i problemi Atac li ha finora affrontati al modo delle aziende private: con i tagli di linee e fermate, la precarizzazione del lavoro, il dumping sociale, l’appalto di proprie funzioni a ditte esterne all’azienda, la riduzione al silenzio degli utenti.

 

  1. Questa Atac è indifendibile per la gestione che la caratterizza da molti decenni, con la produzione di un abnorme debito, un pesantissimo invecchiamento delle vetture e delle infrastrutture, una formidabile obsolescenza tecnologica, una incapacità grave nell’organizzazione del personale. Una “mala gestione” costellata da fenomeni di corruzione, prodotta da una elefantiaca dirigenza frutto del prevalere di interessi delle oligarchie politiche sugli interessi generali. È lampante la corresponsabilità di lunga data delle amministrazioni comunali, unico azionista di Atac, e di Atac medesima nella pessima conduzione dell’azienda.

 

  1. LO STATUS QUO DELLA LIBERALIZZAZIONE. I punti critici della mobilità e di Atac non potranno essere neppure sfiorati da una o più aziende; lo può fare solo un Ente pubblico di governo. Se non si prende di petto questo punto fondamentale la regolazione proposta resta del tutto marginale, di conseguenza è ininfluente con alte probabilità, semmai, di aggravare la situazione con ulteriori tagli di corse, più spinto degrado delle vetture e delle infrastrutture, aumento delle tariffe.

 

PROPOSTE PER UNA NUOVA ATAC

Paradosso: chi attacca Atac attacca un modello societario ispirato alla liberalizzazione.

La situazione in cui ci ritroviamo adesso è figlia delle politiche degli ultimi 25 anni volte a liberalizzare.

  1. Trasformazione di Atac S.p.A. in Azienda Speciale, ovvero, secondo la legge, un ente strumentale del Comune senza scopo di lucro. Quindi società di diritto pubblico, braccio del comune, veramente pubblica, non una SpA. Miglioramento dell’infrastruttura (che dire insufficiente è dir poco) sbilanciata sulla gomma, dando così uno ‘strumento’ ottimale per il gestore.
  2. Individuazione di una dirigenza controllata dal pubblico ma sottratta al clientelismo partitico con meccanismi di controllo e partecipazione da parte degli utenti e dei lavoratori mediante strumenti specifici per il loro accreditamento e intervento nei meccanismi gestori dell’ente.
  3. Riassunzione del servizio all’interno delle strutture amministrative del Comune. Rientro nell’azienda effettivamente pubblica dei servizi esternalizzati (la manutenzione, ad es.), cioè dati in affidamento ai privati.
  4. Problema di politica industriale relativo al rinnovo parco mezzi (programma di governo pluriennale dell’Azienda). Sarebbe necessario oltre al trasporto pubblico un polo pubblico per la produzione di autobus (Proposto dalla FIOM nel 2014), nell’ottica di promuovere nuove filiere economico-occupazionali e la riconversione produttiva. Oggi come oggi le forniture vanno per la sostanziale totalità all’estero, quindi ad alimentare filiere ed economie altrui. Senza mettere in discussione le regole UE su intervento pubblico, mercato e messa a gara (sia dei servizi che degli appalti) non si può pensare a nessun efficientamento e a nessuna riconversione. La battaglia quindi riguarda anche il più vasto tema del se/cosa/come produrre e verso quali obiettivi sociali. Ci togliamo la possibilità di decidere materialmente sulla produzione industriale?
  5. Proposta di legalità costituzionale: art. 43 Cost. A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale. Occorre riaffermare la primazia della fonte costituzionale (quindi mettere in discussione le sovraordinate fonti UE) e lavorare per un vero e proprio esperimento di governance partecipativa e democrazia economica. Atac cioè deve essere un punto di partenza per un nuovo modo di fare impresa per la collettività e noi per questo intendiamo lavorare.
  6. Atac come questione nazionale: falso che il problema riguardi solo Roma. In tutta Italia il trasporto pubblico è al collasso e le esternalizzazioni/messe a gara hanno comportato solo perdite occupazionali e deterioramento del servizio 
  7. Il meccanismo della concessione è lo stesso di Autostrade, con i risultati che abbiamo visto e che erano noti prima della tragedia di Genova, si veda al proposito
  1. Le periferie, a parole tutelate dai promotori, sono le prime e principali vittime delle politiche austeritarie di tagli ai servizi: è paradossale che chi le ha portate al degrado attuale si proponga oggi come il ‘salvatore’…
  2. Finalmente ci libereremmo della massa di debiti accumulati da Atac negli anni ? Falso: anche se non gestisse più il trasporto pubblico dopo una eventuale gara dovrebbe comunque essere liquidata, non potendo partecipare a gare pubbliche essendo soggetta a misura concorsuale (concordato), con una voragine che colpirebbe in particolare i piccoli creditori (chirografari) cioè le piccole realtà dell’indotto, non certo le banche che si sono senz’altro premunite di garanzie sui crediti (ipoteche sugli immobili). L’unica speranza per questi soggetti è un percorso di risanamento e gestione oculata che potrebbe portare, nel tempo, a sanare le pendenze accumulate e rientrare dell’esposizione. Facile intuire cosa ciò significherebbe per il tessuto economico cittadino… Da sottolineare anche il pressoché certo deterioramento delle condizioni di lavoro per i dipendenti e il probabile ridimensionamento della forza lavoro;
  3. Nel secondo quesito proposto si situa una vera e propria polpetta avvelenata nella consultazione: i servizi pubblici non di linea sono quel ‘capitalismo delle piattaforme’ (Uber, autobus low cost, riders…) che radicano il loro modello di impresa sulla disinvoltura fiscale, la deregolamentazione del lavoro e l’aggressione alle potestà regolative delle istituzioni pubbliche. Per noi di Indipendenza c’è anche un ulteriore motivo per rigettare questo tipo di operatori: esse sono espressione di quei vincoli derivanti dalla condizione di succube sudditanza dell’Italia alla filiera euroatlantica che ha reso il nostro Paese, dal secondo dopoguerra a oggi, sostanzialmente un protettorato atlantico. Nostro approfondimento 
  4. Con la messa a gara finiranno gli stipendi elefantiaci ai dirigenti e agli organi apicali Falso: proprio nelle società privatizzate si sta assistendo ai maggiori compensi per manager e consiglieri di amministrazione, ovviamente tali emolumenti sono pagati comunque dall’utenza che acquista il servizio (cfr. Telecom)
  5. La proposta dei Radicali è ben più ampia e riguarda tutto il sistema della connettività urbana, favorendo anche le altre modalità accanto al TPL (Anche per i servizi di trasporto non di linea è necessario aprire alla concorrenza, consentendo che diversi soggetti, sulla base di un regolamento comunale, possano offrire opportunità alternative di mobilità, anche avvalendosi degli strumenti più innovativi messi a disposizione dalla tecnologia, per garantire alla città forme di mobilità integrative che possano soddisfare, nel loro complesso, la domanda di trasporti dei cittadini, superando così alcune delle incertezze e le opacità normative che non consentono al settore nel suo complesso di svilupparsi in tutte le sue potenzialità).Sistemi come Uber sono fondati sullo sfruttamento del lavoro, sull’elusione fiscale e portano all’arricchimento di compagini societarie estere tutt’altro che trasparenti.
  6. Atac è un’impresa decotta. Falso: dalla lettura del bilancio 2016 (ultimo disponibile on line p.8): Al netto dei suddetti accantonamenti la perdita sarebbe stata pari a circa euro 39 milioni. Dai dati rilevati dalla precedente gestione, nel 2016 il MOL è stato positivo (+82,6 milioni di euro) ed in crescita di circa euro 27 milioni rispetto al 2015, seppure al di sotto delle aspettative come incidenza sul valore della produzione. Il MOL (margine operativo lordo  conto economico riclassificato a p.55 ) è un indicatore fondamentale per capire l’andamento di un’impresa, esso indica, in sostanza la sua capacità di generare reddito attraverso la gestione ordinaria. Un MOL positivo indica la sussistenza di una struttura imprenditoriale recuperabile intervenendo sulle altre voci che appesantiscono il risultato complessivo.
  7. Chi potrebbe avere interesse a una liquidazione di Atac? Per esempio gli immobiliaristi: basta scorrere (pp. 53 ss al link sopra) la lista di immobili da alienare per capire che si tratta di aree di potenziale appetito per la speculazione del cemento…
  8. In caso di vittoria del SI, il problema uscirà definitivamente dal campo visuale dei cittadini romani e dei loro rappresentanti. Per essere gestito da altri. Ragione ad un tempo necessaria e sufficiente per VOTARE NO.

 

Indipendenza

25 ottobre 2018

comitatonoreferendumatac@gmail.com

ass.indipendenza.info@gmail.com – info@rivistaindipendenza.org

 

CEDIMENTO SCALA MOBILE A ROMA: EFFETTI DELLA LIBERALIZZAZIONE / PRIVATIZZAZIONE DI ATAC!

Fermata Repubblica della metropolitana di Roma. Il 23 ottobre scorso, il giorno della partita Roma-Cska Mosca, cede la parte finale della scala mobile: 24 feriti, 6 in codice rosso. La versione che comincia a viaggiare nell’etere parla di tifosi russi che, ubriachi, saltando sulla scala, avrebbero determinato il cedimento. Un loro comunicato smentirà poco dopo tale versione, come del resto si riscontrerà in un video che mostra come nessuno stesse saltando e come la scala mobile fosse ‘impazzita’ andando giù ad una velocità anomala rispetto al normale.

Molto significativo questo grave fatto di cronaca. Vediamo il perché. Atac, da molti anni, è una Società per Azioni, ovvero un’impresa in cui la proprietà interamente pubblica non ne modifica lo scopo di lucro (con effetti disastrosi). Prevalgono cioè, sugli obiettivi sociali, le valutazioni economico aziendali ed è per questo che i problemi Atac li ha finora affrontati al modo delle aziende private: tagli di linee e fermate, precarizzazione del lavoro, dumping sociale, appalto di proprie funzioni a ditte esterne all’azienda (ad esempio per la manutenzione), riduzione al silenzio di lavoratori critici (anche con licenziamenti) e di utenti. Per la cronaca Atac possiede l’80%; il 20% è già stato liberalizzato ed è gestito dal consorzio di imprese private Roma TPL che eroga un servizio nelle periferie anche peggiore e per giunta paga gli stipendi a singhiozzo.

In linea con quanto sopra, anche per la manutenzione delle scale mobili della metro romana viene indetta una gara d’appalto. Ad aggiudicarsela (per tre anni) è il gruppo Rti Del Vecchio srl di Napoli (mandataria) e Givan Group Srl di Fiumicino (mandante), che sbaraglia la concorrenza offrendo il servizio con un massimo ribasso di circa il 50% (la cifra offerta è di 11 milioni e mezzo di euro su un quadro economico complessivo a base di gara di 22 milioni e 900mila) e garantendo oltre alla manutenzione ordinaria anche il pronto intervento ed i collaudi.

Vi sono ambiti di interesse collettivo (come il trasporto, le autostrade, l’energia e molti altri) che non dovrebbero mai essere privatizzati. Il privato persegue il profitto, il pubblico –se effettivamente tale e non un modo diverso per dire privato o gestione privatistica– no! Non è una differenza da poco, tanto più in ambiti che sono in sé da ‘monopolio naturale’ necessariamente pubblico. Restando sul trasporto cosiddetto pubblico a Roma: aver innescato meccanismi di concorrenza se non subito, certo nel medio periodo determina un drastico peggioramento del sistema di trasporto perché tutto ricade sulla riduzione della manutenzione, sulla riduzione dei salari dei lavoratori, sulla riduzione complessiva della qualità del servizio. Liberalizzare significa che le aziende senza rischio d’impresa utilizzano i finanziamenti pubblici, oltretutto usufruendo delle infrastrutture pubbliche (reti elettriche, binari, fermate, pensiline e probabilmente depositi) pagati dalla collettività. Per ottenere più profitto, quindi, lo si ricaverà sulle spalle dei dipendenti (meno salario, peggioramento delle condizioni di lavoro, sfruttamento) e dei cittadini (taglio di linee non remunerative, soppressione di turni e bus in zone periferiche meno appetibili).

Ora, l’11 novembre a Roma si vota al referendum consultivo su Atac. Chi attacca Atac, facendo credere che sia un carrozzone pubblico inefficiente, corrotto, indebitato, omette di precisare che sta parlando di Atac SpA il cui modello societario e quindi di gestione è ispirato alla liberalizzazione, che produce situazioni anche come quella del cedimento della scala mobile di Roma. È la logica del profitto perseguito costi quel che costi. Dentro questa stessa logica si è consumata la tragedia del Ponte Morandi di Genova. Dentro questa logica neoliberista che ha assunto, in questa fase, la forma predominante della gabbia unionista europea, il pubblico deve morire!

Votare NO l’11 novembre significa non difendere ‘questa’ Atac SpA bensì porre il nodo di una ripublicizzazione di Atac, contro il modello da Roma TPL che si vorrebbe estendere in modo dominante e indiscusso, senza più nemmeno la formale proprietà pubblica esercitata dal Comune.

Comitato NO referendum Atac – Indipendenza

comitatonoreferendumatac@gmail.com

ass.indipendenza.info@gmail.com – info@rivistaindipendenza.org