Referendum Atac: dopo la decisione del TAR Lazio, quali prospettive per la lotta

Il Tar del Lazio ha deciso di considerare valido il referendum proposto dai Radicali per la privatizzazione del servizio di trasporto pubblico a Roma, svoltosi l’11 novembre 2018. Alla consultazione vinsero i sì (74-75%, quasi 300mila voti su 2.363.989 iscritti al voto), ma partecipò solo il 16,3% (386.900 degli aventi diritto). Una quota minima che è risibile considerare rappresentativa, tanto quanto parlare di vittoria della democrazia, come hanno fatto i Radicali Magi e Giachetti.
La seconda sezione del Tar del Lazio, con la sentenza n.13285, ha accolto il ricorso proposto dal Comitato promotore del referendum sulla messa a gara del servizio di trasporto pubblico di Roma Capitale (attualmente svolto da ATAC): è così contestata l’applicazione del quorum minimo alla consultazione, poiché previsto da una norma statutaria abrogata. Il Tar ha affermato che l’esito referendario non è soggetto a sbarramenti, con la conseguenza che l’amministrazione avrebbe dovuto procedere alla promulgazione del risultato che ha visto prevalere i “sì”.

Il referendum non raggiunse il quorum del 33,3% necessario, secondo il Campidoglio, per la sua validità. Si andò al voto con l’idea, avallata dalla dichiarazione del Comune, che ci fosse quel quorum. Chi era favorevole alla privatizzazione si recò ‘in (molto relativa) massa’. Chi si opponeva si divise tra chi invitava al NO e chi all’astensione. Ricordiamo che il fronte del NO (Indipendenza, con un suo comitato ad hoc, era parte di un cartello di organismi che operò congiuntamente ed intensamente nei territori) criticava l’essere ATAC una Società per Azioni, ovvero un’impresa in cui la proprietà interamente pubblica non ne modifica lo scopo di lucro (con effetti disastrosi sotto gli occhi di tutti). Prevalgono ovviamente, sugli obiettivi sociali, le valutazioni economico aziendali tant’è che i problemi ATAC S.p.A. li ha sempre affrontati al modo delle aziende private: tagli di linee e fermate, precarizzazione del lavoro, ‘dumping’ sociale, appalto di proprie funzioni a ditte esterne all’azienda.
La situazione di ATAC S.p.A. è figlia delle politiche degli ultimi 25 anni volte a liberalizzare. Il paradosso è che chi perorava il SI attaccando ATAC, attaccava un modello societario ispirato proprio alla liberalizzazione, indifendibile per la gestione che la caratterizza da almeno un paio di decenni circa, con la produzione di un abnorme debito, un pesantissimo invecchiamento delle vetture e delle infrastrutture, una formidabile obsolescenza tecnologica, una incapacità grave nell’organizzazione del personale. Una “mala gestione” costellata da fenomeni di corruzione, prodotta da una elefantiaca dirigenza frutto del prevalere di interessi delle oligarchie ‘politico-affaristiche’ sugli interessi generali. È lampante la corresponsabilità di lunga data delle amministrazioni comunali, unico azionista di ATAC, e di ATAC medesima nella pessima conduzione dell’azienda, in un generale abbandono che –non è la prima volta– sembra fatto apposta per aprire le porte ai privati.

Dicemmo NO al peggioramento del servizio che la vittoria del SI avrebbe comportato, anche come volàno politico-mediatico altrove in Italia, Milano in primis.
Dicemmo e diciamo SI alla trasformazione di ATAC S.p.A. in Azienda Speciale, ovvero, secondo la legge, un ente strumentale del Comune senza scopo di lucro. Quindi società di diritto pubblico, braccio del comune, veramente pubblica, non una SpA. E aggiungevamo/aggiungiamo, su questa base, altro: 1. miglioramento dell’infrastruttura (che dire insufficiente è dir poco) sbilanciata sulla gomma, dando così uno ‘strumento’ ottimale per il gestore; 2. individuazione di una dirigenza controllata dal pubblico ma sottratta al clientelismo con meccanismi di controllo e partecipazione da parte degli utenti e dei lavoratori mediante strumenti specifici per il loro accreditamento e intervento nei meccanismi di gestione dell’ente, coerentemente con l’art. 43 della Costituzione; 3. riassunzione del servizio all’interno delle strutture amministrative del Comune e rientro nell’azienda effettivamente pubblica dei servizi esternalizzati (la manutenzione, ad es.), cioè dati in affidamento ai privati; 4. polo pubblico per la produzione di autobus, tram e bus elettrici, nell’ottica di promuovere nuove filiere economico-occupazionali e riconversione produttiva.
Tutto questo rimandava e rimanda ovviamente a qualcosa di più generale e ‘strategico’. Senza mettere in discussione le regole dell’Unione Europea su intervento pubblico, mercato e messa a gara (sia dei servizi che degli appalti) non si può pensare a nessun rilancio e a nessuna riconversione. La battaglia quindi riguarda anche il più vasto tema del se/cosa/come produrre e verso quali obiettivi sociali.

È evidente la necessità che si riconvochino rapidamente i Comitati per il NO al referendum e che questa battaglia si saldi con quella “Contro ogni autonomia differenziata” che tra le sue materie prevede anche quella dei trasporti. Indipendenza si preoccuperà di fare la sua parte militante e di favorire questa convergenza d’azione.

***

«Il voto ha visto una partecipazione molto modesta (16,3% degli aventi diritto complessivamente), con percentuali particolarmente basse in quartieri e borgate periferiche, e un quarto degli elettori si è espresso per il NO, cioè per una opposizione attiva ai quesiti. L’elemento di soddisfazione sta quindi nello scarso sèguito popolare dell’operazione ultraliberista posta in essere da Radicali/+Europa. […] Non ci sono dubbi che i promotori continueranno la battaglia in sede giudiziaria per far valere la validità del referendum in ragione del cambio di Statuto di Roma Capitale che ha rimosso il quorum del 33%; quindi la faccenda nel merito è tutt’altro che chiusa»Così scrivevamo su Indipendenza (n. 45) dando conto della campagna referendaria. Era una facile previsione quella per cui il TAR avrebbe dato ragione ai promotori del referendum: è una decisione tecnicamente corretta, ciò che è mancato è stata la consapevolezza dell’inconsistenza dell’opzione astensionista, tanto sul piano tattico (la validità del referendum) che su quello strategico (la rinuncia a usare quel diritto di tribuna per articolare e proporre qualcosa di diverso e nuovo rispetto alla monocultura liberista), ciò senza dimenticare i rischi insiti nel secondo quesito. Intendiamo quindi rilanciare la nostra disponibilità per una rinnovata iniziativa politica che porti all’elaborazione di un atto di indirizzo del Comune di Roma Capitale per la trasformazione di Atac in azienda speciale di diritto pubblico a gestione partecipata secondo un modello di legalità costituzionale che veda il coinvolgimento fattivo nella gestione dei lavoratori e delle comunità di utenti come prevede l’art. 43 della Costituzione. Declinare la sfida ai diktat liberisti di matrice europea attraverso una vertenza locale è, per noi, un fatto essenziale per quell’accumulo di energie e per la costruzione di quelle convergenze imprescindibili per modificare lo stato dei rapporti di forza oggi sussistenti. Sovranità, democrazia, liberazione!

Roma/Atac: quali insegnamenti dalle chiusure della metro

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Bilancio della campagna (prima fase) di Indipendenza sul trasporto pubblico a Roma

Di seguito l’impegno di “Indipendenza”, con il suo “Comitato No referendum Atac”:

– apertura di un sito sul tema e connessa casella di posta elettronica (comitatonoreferendumatac@gmail.com) con gli scritti volta a volta divulgati sia sulle reti sociali, sia tramite l’indirizzario elettronico di “Indipendenza”;

– iniziative promosse autonomamente ed altre in cui, su invito, siamo intervenuti:

Roma, 9 novembre: assemblea per il NO a Tor Bella Monaca

Roma, 7 novembre: assemblea per il no al referendum Atac

Ostia, 6 novembre: assemblea per il no al referendum Atac

Roma, 5 novembre: Referendum Atac all’Università Tor Vergata

Roma, 30 ottobre: verso il referendum Atac/Le ragioni del NO;

– interviste uscite su diverse testate locali ( il ventrilocoforItalynews ; Le Petit Journal)

– auto-produzione di un video

– incontri di gruppo all’aperto e soprattutto a domicilio (sollecitando particolarmente i sostenitori del SI ad invitare a casa propria parenti, amici, vicini, conoscenti e, al termine degli incontri, invito a rilanciare ‘a catena’ il materiale informativo esposto, via posta elettronica. Alla fine, dato il numero delle richieste, abbiamo risposto al maggior numero possibile di inviti, non a tutti), modalità quest’ultima da sviluppare anche in altre occasioni;

– diffusione, pur non in tutte le occasioni, della rivista.

Sul trasporto pubblico a Roma i giochi restano aperti. Non solo perché i Radicali hanno annunciato che ricorreranno al TAR in riferimento alla modifica dello Statuto di Roma Capitale che abolisce il quorum e dunque per ottenere la validità ed efficacia della consultazione, pur se delegittimata sul piano popolare. Non solo perché a dicembre l’assemblea dei creditori darà o meno il via libera al concordato. Non solo perché non è scongiurata la prospettiva della messa a gara del servizio di trasporto pubblico, vista la proroga fino al dicembre 2021 dell’affidamento “in house” ad Atac del servizio di trasporto pubblico locale. La questione resta aperta per chi, come Indipendenza, battendosi al referendum per il NO, l’ha inteso non come atto di conservazione dello status quo, ma come premessa indispensabile per un rilancio effettivo di un ruolo pubblico nel sociale.

Di qui il dovere morale e politico di proseguire questa lotta, rifiutando la natura odierna di Atac come SpA: si tratta di aprire un fronte sociale e politico per un servizio / gestione pubblica, per l’istituzione di un’azienda speciale pubblica metropolitana in cui siano ricomprese nel perimetro le linee ed i dipendenti della Roma TPL. Una risposta al modello dominante con quello che a tutti gli effetti dovrebbe prefigurarsi come un vero e proprio esperimento di democrazia economica e legalità costituzionale, in continuità quindi con la parte ‘positiva’ della nostra proposta politica nella campagna referendaria, a saldarsi anche con altri snodi come la politica industriale e la riconversione ambientale nella mobilità.

Sappiamo che questo andrà di per sé ad impattare con il quadro vincolistico, liberalizzatore e privatizzatore, della piattaforma neoliberista dell’Unione Europea. Del resto la specificità del comitato che come “Indipendenza” abbiamo messo in piedi è stata proprio quella di collegare una catena di ‘perché’ che dal contesto generale (Unione Europea e connivenze pluridecennali delle classi dirigenti di questo Paese) interferisce in modo decisivo fino all’ambito territoriale locale (ed il trasporto è solo uno degli ambiti, peraltro essenziale data la sua rilevanza d’interesse collettivo).

Non è cosa da poco per “Indipendenza” aver comunicato certe istanze. Non è cosa da poco il ‘nodo’ della sovranità politica e dei diritti sociali che era incorporato nel referendum e che continua ad esserlo nella lotta per la piena e fattiva ripubblicizzazione del trasporto locale capitolino. Non è una posta in gioco di poco conto, ed “Indipendenza” continuerà a portare il proprio contributo nella lotta.

Comitato NO referendum Atac – Indipendenza

ass.indipendenza.info@gmail.com – info@rivistaindipendenza.org

Atac: noi non smobilitiamo!

Comunicato, venerdì 16 novembre 2018

ROMA/ DOPO IL REFERENDUM SUL TRASPORTO PUBBLICO LOCALE.
PRIMA RIUNIONE

Giovedì 15 novembre si è tenuta una prima riunione di diversi comitati per il NO presso la sede dell’ass. Indipendenza, a Tiburtina. Presenti, oltre al Comitato NO referendum Atac (Indipendenza), anche Comitato Utenti e Lavoratori in difesa del Trasporto Pubblico, Decide Roma Polo Acqua Pubblica, C.a.l.m.a., Pendolari Roma-Lido, Comitato Atac Bene Comune.

La riunione si è dato l’obiettivo di rilanciare il trasporto pubblico urbano di Roma modificando la forma societaria di Atac da S.p.A ad Azienda Speciale Pubblica. Su questo apriremo la discussione tra i cittadini ed i lavoratori del settore. Atac così com’è non funziona e non funzionerà. La verifica si deve adempiere con l’ingresso al controllo dell’azienda da parte dei cittadini e dei lavoratori.

Seguiranno altre riunioni, assemblee, dibattiti su questo tema con i cittadini, i lavoratori, le istituzioni. Non vogliamo i privati nel trasporto a Roma e in Italia.
Cambiare Atac si può.

 

Riportiamo di seguito anche il comunicato congiunto di tutte le componenti riunite:

NOI NON SMOBILITIAMO!

Giovedì 15 Novembre alle ore 19:30, i sottoscritti “comitati per il NO” in assemblea aperta presso la sede dell’associazione Indipendenza (Monti Tiburtini – via Luigi Barzini senior, 38), analizzato l’esito referendario per la privatizzazione di Atac, svoltosi l’11 Novembre, ritengono:

1) il risultato insoddisfacente e pericoloso per il destino e il futuro dei servizi pubblici locali, della collettività e del mondo del lavoro afferente;
2) pericoloso direttamente o indirettamente per il mondo del lavoro in tutte le Partecipate Pubbliche di Roma Capitale;
3) decide di perseguire l’obiettivo di rilanciare la dimensione pubblica a partire dal trasporto urbano di Roma, come uno dei principali “asset” economici sociali e ambientali che devono costituire un nuovo e importante motore di sviluppo per la Capitale.

Ritengono unitariamente che:
A) tale obiettivo politico, così come accade in tante altre capitali europee, sia realizzabile modificando la forma Societaria di Atac da Spa ad Azienda Speciale Pubblica, per riportare in maniera inequivocabile, “mission” e ragione sociale, dentro indirizzi strategici e funzionali al radicale cambiamento gestionale di Atac;

  1. B) che siano obiettivi complementari al ruolo terzo della pianificazione pubblica, che deve prevalentemente lavorare in autonomia:
    b1) per la riconversione della rete da gomma alla ferrotranvia;
    b2) al completamento delle linee metro;
    b3) ai non più rinviabili interventi infrastrutturali a partire dalle corsie preferenziali;
    b4) al reperimento stabile e continuativo delle risorse dovute a Roma Capitale quarta area metropolitana di Europa capaci di compensare gli extra costi indotti dalle peculiarità di Roma;
    b5) ad una adeguata “governance” territoriale che abbia come obiettivo prioritario arginare il 75% del traffico privato e commerciale e rispondere alle istanze del pendolarismo pretendendo un effettivo sistema integrato del trasporto con le 8 Fm del Lazio e le 3 Fs concesse;
  2. C) che tale piattaforma programmatica abbia in sé:
    c1) l’obiettivo speculare di una rigorosa tutela della salute pubblica e dell’ambiente;
    c2) la compiuta realizzazione del diritto alla mobilità sostenibile e alternativa con segmenti garantiti e in sicurezza di ciclopedonalità;
    c3) complementari occasioni di lavoro e occupazione.
  3. D) Che tale piattaforma programmatica abbia in sé non soltanto il dovere di una salvaguardia degli attuali livelli occupazionali, ma anche meccanismi di incentivazione allo sviluppo nei vari livelli del settore.
  4. E) Che tale piattaforma programmatica sia l’unica strada per dedicare una particolare attenzione alle fasce deboli di utenza per la quale offrire, una volta a regime, anche modelli di gratuità del servizio.
  5. F) Che in tale piattaforma programmatica e sociale non si possa eludere l’esigenza della costruzione di modelli partecipati in ogni municipio per una pubblica e aperta condivisione degli indirizzi strategici sul trasporto, costruendo relazioni costanti con realtà associative territoriali, centri di ricerca e università che abbiano reali poteri decisionali.

Per questi motivi, sapendo che sotto la pelle dei risultati dell’astensione è ben presente un malessere scevro dalle strumentalizzazioni dei radicali e del PD, è ben presente l’interesse di corporazioni di interesse specifico per privatizzare il settore a vantaggio dei privati che non rinuncerà a tale lucroso obiettivo, noi non ci accontentiamo del mancato raggiungimento del quorum e puntiamo sulle nostre ragioni, che traguardino obiettivi sociali che vanno oltre la questione Atac di oggi ma per un Atac del domani, nella consapevolezza che non affrontare il problema per quel che è, significa ignorare dati di fatto che già oggi rappresentano i problemi di tutte le aziende pubbliche e per l’intera comunità.

Noi siamo convinti di agire politicamente per gli interessi collettivi e da Roma Capitale su questi temi lanciamo una piattaforma di sfida politica e programmatica; una sfida contro la logica delle privatizzazioni e l’esclusiva ricerca del profitto in tutti i beni comuni e indivisibili.
Apriremo la discussione nelle istituzioni municipali, nelle associazioni e tra i lavoratori del settore, con tutti i sindacati, proponendo una proposta di legge di iniziativa popolare per la quale raccoglieremo il consenso tra gli utenti e il mondo del lavoro. Perché siamo convinti che la “governance” di Atac, condizionata dai fattori esterni sopraelencati, così com’è non funziona e non funzionerà a prescindere dal concordato. E siamo convinti che altri inconfessabili disegni spingono per soluzioni non dichiarate ma che in caso di fallimento servirebbero un “assist” formidabile agli interessi costituiti e rappresentati anche in questo referendum, comunque per la privatizzazione non solo di Atac ma di tutte le Partecipate Pubbliche.

Noi puntiamo ad una svolta reale che:
G) contribuisca ad un nuovo modello di città in cui si produca occupazione, tutela ambientale e libertà di movimento.
g1) Non minore, ma maggiore servizio di trasporto in tutti i quadranti territoriali per ricucire territori smembrati dal nuovo piano regolatore e che registrano una domanda crescente di mobilità.
g2) che riporti il controllo effettivo di un importantissimo braccio strumentale nell’alveo dei doveri dell’istituzione Comune di Roma, che deve riconoscere e rappresentare una matura e dimostrata capacità elaborativa e propositiva dei cittadini e dei lavoratori del settore;
g3) che chiede un nuovo modello che includa la reinternalizzazione delle attività primarie, dalle manutenzioni, al soccorso stradale alle pulizie e rifornimento per prima uscita e rientrata a fine turno;
g4) che, sull’indotto, controlli e prevenga il “dumping” sociale dato dalle dinamiche degli affidamenti in subappalto al massimo ribasso;
g5) che smantelli filiere politiche e clientelari di appartenenza e imponga una trasparente selezione con procedure ad evidenza pubblica e parametri e criteri meritocratici del “management” apicale e dei gruppi dirigenti allocati nelle macrostrutture con valutazioni trimestrali;
g6) che a tale proposito ricostruisca degli organismi di controllo autonomi e terzi fuori dal rischio di cattura da parte dei potentati economici e della mala politica.

Per questo seguiranno altre riunioni, assemblee e dibattiti su questo tema con cittadini, lavoratori e istituzioni. Aperte alla inclusione e partecipazione di altri soggetti associativi che vogliono capire e discutere anche da posizioni diametralmente diverse. Per noi, dopo l’acclarato fallimento delle politiche di privatizzazioni dei servizi pubblici, in Italia e in Europa, la sfida da cogliere senza se e senza ma, in termini di politiche industriali, trasparenza e moralità, di gestione e organizzazione, di rispetto dei diritti degli utenti e dei lavoratori, è: “far funzionare il pubblico meglio del privato”.

Non vogliamo i privati nel trasporto a Roma o in Italia, perché gli innesti di settori in “outsourcing” regalati ai privati hanno portato non solo Atac ma buona parte delle Partecipate Pubbliche allo stato di crisi in cui sono. E presto con l’uberizzazione dell’economia reale e dei servizi pubblici sarà un problema da affrontare anche nel mondo dei taxi.
Sul tema della mobilità, con l’esperienza di Roma TPL, a cui è stato ceduto il 30% della rete pubblica nelle periferie, i romani con i privati hanno già dato.
Cambiare Atac si può, renderla più produttiva, efficiente e di qualità si deve, perché con questo cambiamento reale e non con le scorciatoie a favore dei privati, miglioreremo realmente la qualità della vita, del lavoro, delle relazioni umane e sociali e dell’ecosostenibilità ambientale per tutti noi.

Atac Bene Comune, Calma, Lavoratori e Utenti, Pendolari Roma Lido, Coord. Decide Roma-Acqua Pubblica, Indipendenza, Mobilit@s

Comunicato-su-incontro-15-novembre

atac non smobilitiamo

Il manganello euroatlantico sul trasporto pubblico locale: Milano, Genova e Firenze

CasaPound su Atac e Tav

Confindustria Roma per il sì al referendum Atac: dubbi su cosa votare?

Il PD romano per il SI al referendum Atac: quali risvolti dietro tale decisione

Atac: il NO al bar e al lavoro

ass.indipendenza.info@gmail.com – info@rivistaindipendenza.org

Verso il voto: le ragioni del NO al referendum Atac

vi invitiamo ad aderire all’evento facebook per il voto di domenica 11 e a divulgare il video/documento di seguito, oltre ovviamente agli altri documenti politici già elaborati.

Atac/11 novembre: perché votare NO

Atac: il NO al bar e al lavoro

Perché NO

 

– Per cosa si vota l’11 novembre a Roma?
Per la liberalizzazione del trasporto pubblico locale di superficie e sotterraneo, il che apre alla fattiva totale privatizzazione (primo quesito) e (secondo quesito) per “l’esercizio di trasporti collettivi non di linea in ambito locale a imprese operanti in concorrenza”, cioè quel ‘capitalismo delle piattaforme’ (Uber, autobus low cost, riders…) che radicano il loro modello di impresa sulla disinvoltura fiscale, la deregolamentazione del lavoro e l’aggressione alle potestà regolative delle istituzioni pubbliche. Sistemi come Uber portano all’arricchimento di compagini societarie estere, peraltro tutt’altro che trasparenti. Per Indipendenza c’è anche un ulteriore motivo per rigettare questo tipo di operatori: esse sono espressione di quei vincoli derivanti dalla condizione di succube sudditanza dell’Italia alla filiera euroatlantica che ha reso il nostro Paese, dal secondo dopoguerra a oggi, sostanzialmente un protettorato atlantico.

– Quali sarebbero gli svantaggi di una liberalizzazione del trasporto pubblico a Roma?
Liberalizzare significa che le aziende senza rischio d’impresa utilizzano i finanziamenti pubblici, oltretutto usufruendo delle infrastrutture pubbliche (reti elettriche, binari, fermate, pensiline e probabilmente depositi) pagati dalla collettività. Ora, per ottenere un profitto, questo lo si ricaverà sulle spalle dei dipendenti (meno salario, peggioramento delle condizioni di lavoro, sfruttamento) e dei cittadini (taglio di linee non remunerative, soppressione di turni e bus in zone periferiche meno appetibili).

– Perché è importante andare a votare?
Per dare un segnale politico: il trasporto, come altri ambiti strategici, è un monopolio naturale pubblico. Il privato persegue il profitto, il pubblico no. Strutturalmente non è una differenza da poco. Metterli sullo stesso piano è più che forzato. Innescare meccanismi di concorrenza (se nei primi momenti può produrre meccanismi positivi) nel medio periodo determina un drastico peggioramento del sistema di trasporto. Quando si introducono questi meccanismi competitivi, di concorrenza, è inevitabile che tutto ricada sulla riduzione della manutenzione, dei salari dei lavoratori, della qualità del trasporto. È un dato di fatto. Dimostrabile proprio sull’esperienza romana della consorziata privata di Roma TPL, che (mal) gestisce il trasporto nelle periferie, e sulla base di quanto già avvenuto in diverse città e capitali in Europa (ritorno al monopolio pubblico) e sta avvenendo in altre. Il confronto con altre capitali europee chiarisce che le società pubbliche che ne gestiscono i servizi, oltre ad essere ben amministrate hanno come programmatori Enti pubblici capaci di governare i complessi problemi del settore. Laddove i fallimenti della privatizzazione si sono resi irrimediabili, si è determinato un avvio di rinazionalizzazione come nelle ferrovie inglesi.
Insomma, con una battuta: per essere cittadini e non clienti.

– Quali sono i problemi di Atac?
Atac è una Società per Azioni, ovvero un’impresa in cui la proprietà interamente pubblica non ne modifica lo scopo di lucro (nel nostro caso con effetti disastrosi). Prevalgono così sugli obiettivi sociali le valutazioni economico aziendali ed è per questo che i problemi Atac S.p.A. li ha finora affrontati al modo delle aziende private: con i tagli di linee e fermate, la precarizzazione del lavoro, il dumping sociale, l’appalto di proprie funzioni a ditte esterne all’azienda. I cittadini romani possono avere un termine di paragone guardando allo stato delle periferie (e chi vi abita lo sa bene) dove il Comune ha affidato più del 40% del servizio a Roma TPL. Lì la situazione è ancora più grave che nella parte di città servita da Atac. In un contesto concorrenziale è difficile imporre livelli normativi a tutela dell’utenza, dei lavoratori, dell’ambiente non più garantiti dall’intervento pubblico.

– A cosa sono dovuti?
A questa Atac S.p.A. indifendibile per la gestione che la caratterizza da almeno un paio di decenni circa, con la produzione di un abnorme debito, un pesantissimo invecchiamento delle vetture e delle infrastrutture, una formidabile obsolescenza tecnologica, una incapacità grave nell’organizzazione del personale. Una “mala gestione” costellata da fenomeni di corruzione, prodotta da una elefantiaca dirigenza frutto del prevalere di interessi delle oligarchie politiche sugli interessi generali. È lampante la corresponsabilità di lunga data delle amministrazioni comunali, unico azionista di Atac, e di Atac medesima nella pessima conduzione dell’azienda, in un generale abbandono che –non è la prima volta– sembra fatto apposta per aprire le porte ai privati.

– Perché votare no?
Per dire NO al peggioramento del servizio che avrebbe con la vittoria del SI un preoccupante volàno politico-mediatico. La situazione in cui ci ritroviamo adesso è figlia delle politiche degli ultimi 25 anni volte a liberalizzare. Il paradosso è che chi perora il SI attaccando Atac, attacca un modello societario ispirato proprio alla liberalizzazione. Lo scioglimento del paradosso è che chi ha indetto il referendum lo fa perché vuole eliminare quel formale riferimento alla attuale proprietà del Comune.
Insomma, un NO che sia solo il primo passo per una battaglia politica che deve continuare.

– Con quali rivendicazioni ed obiettivi?
Vediamo i principali.
Trasformazione di Atac S.p.A. in Azienda Speciale, ovvero, secondo la legge, un ente strumentale del Comune senza scopo di lucro. Quindi società di diritto pubblico, braccio del comune, veramente pubblica, non una SpA.
Miglioramento dell’infrastruttura (che dire insufficiente è dir poco) sbilanciata sulla gomma, dando così uno ‘strumento’ ottimale per il gestore.
Individuazione di una dirigenza controllata dal pubblico ma sottratta al clientelismo partitico con meccanismi di controllo e partecipazione da parte degli utenti e dei lavoratori mediante strumenti specifici per il loro accreditamento e intervento nei meccanismi di gestione dell’ente, coerentemente con l’art. 43 della Costituzione.
Riassunzione del servizio all’interno delle strutture amministrative del Comune e rientro nell’azienda effettivamente pubblica dei servizi esternalizzati (la manutenzione, ad es.), cioè dati in affidamento ai privati.
Polo pubblico per la produzione di autobus, tram e bus elettrici, nell’ottica di promuovere nuove filiere economico-occupazionali e riconversione produttiva. Oggi come oggi le forniture vanno per la sostanziale totalità all’estero, quindi ad alimentare filiere ed economie altrui. Perché toglierci la possibilità di decidere materialmente sulla produzione industriale?
Tutto questo rimanda ovviamente a qualcosa di più generale e ‘strategico’. Senza mettere in discussione le regole dell’Unione Europea su intervento pubblico, mercato e messa a gara (sia dei servizi che degli appalti) non si può pensare a nessun rilancio e a nessuna riconversione. La battaglia quindi riguarda anche il più vasto tema del se/cosa/come produrre e verso quali obiettivi sociali.

– Il Comitato del No cesserà la sua attività dopo il voto o proseguirà la sua opera con altri programmi e iniziative?
Come si diceva il tema non si archivia, quale che sia l’esito della consultazione referendaria. La vittoria del SI peggiorerebbe lo status quo, ma la stessa vittoria del NO la vediamo come un presupposto, una condizione necessaria ma non sufficiente, perché anche il mantenimento di detto status quo è inaccettabile. Puntiamo a proseguire sulla base delle direttrici sopra indicate, e confidiamo di farlo d’intesa con quei comitati del NO con i quali abbiamo stretto rapporti e stiamo condividendo questa comune battaglia referendaria.

intervista doppia SI/NO in ‘Il ventriloco’-Trastevere

comitatonoreferendumatac@gmail.com

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Referendum Atac all’Università di Roma Tor Vergata

Francesco Labonia (presidente dell’Associazione Indipendenza) interverrà alla tavola rotonda prevista per lunedì 5 novembre 2018 (h. 16,30) alla Facoltà di Economia dell’Università Tor Vergata di Roma in rappresentanza del nostro comitato.

Qui l’evento facebook (con indicazioni logistiche)

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Atac: il NO al bar e al lavoro

Atac/11 novembre: perché votare NO

Perché NO

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atac 5 novembre

Roma, 30 ottobre: verso il referendum Atac/Le ragioni del NO

A Roma, martedì 30 ottobre 2018, ore 20,30
via Pullino 1 (fermata Metro B “Garbatella”).

Perché votare NO alla privatizzazione di Atac e del servizio di trasporto pubblico. Quali possibili soluzioni

qui l’evento facebook

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Atac/11 novembre: perché votare NO

Perché NO

Atac: il NO al bar e al lavoro

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referendum atac 30 ottobre

Atac/11 novembre: perché votare NO

ATAC: PERCHÉ VOTARE NO

documento aggiuntivo al comunicato politico 

  1. Il trasporto pubblico è uno dei monopoli naturali. Il privato persegue il profitto, il pubblico no e strutturalmente non è una differenza da poco. Metterli sullo stesso piano è più che forzato. Innescare meccanismi di concorrenza (se nei primi momenti può produrre meccanismi positivi) nel medio periodo determina un drastico peggioramento del sistema di trasporto pubblico locale. È un dato di fatto. Dimostrabile sulla base delle indagini in altre città e capitali in Europa si vede che si sta cercando di tornare al monopolio pubblico.  Quando si introducono questi meccanismi competitivi, di concorrenza, spessissimo tutto ricade sulla riduzione della manutenzione, sulla riduzione dei salari dei lavoratori, sulla riduzione complessiva della qualità del sistema di trasporto.

 

  1. Liberalizzare significa che le aziende senza rischio d’impresa utilizzano i finanziamenti pubblici, oltretutto usufruendo delle infrastrutture pubbliche (reti elettriche, binari, fermate, pensiline e probabilmente depositi) pagati dalla collettività. Ora, per ottenere un profitto, questo lo si ricaverà sulle spalle dei dipendenti (meno salario, peggioramento delle condizioni di lavoro, sfruttamento) e dei cittadini (taglio di linee non remunerative, soppressione di turni e bus in zone periferiche meno appetibili).

 

  1. Atac possiede l’80% (il 20% è già stato liberalizzato ed è gestito dal consorzio di imprese private Roma TPL) fin dai primi anni 2000 è stato avviato un lungo processo in vista della liberalizzazione e proprio dal 2009 si ha un peggioramento verticale del servizio. Con il referendum del 2011 non è più stata liberalizzata. L’Atac è lo status quo, il portato ideologico di una logica di liberalizzazione innescata nel 2009. Esternalizzazioni fallimentari. La stragrande maggioranza del debito di ATAC nasce dal fatto che il comune ha scaricato su ATAC le disfunzionalità operative ed i costi del servizio attraverso il meccanismo degli anticipi tra 2006 e 2009. Dal canto suo il consorzio privato Roma TPL non eroga affatto un servizio migliore rispetto a quello di ATAC e per giunta paga gli stipendi a singhiozzo.  PRIVATO E PUBBLICO. I cittadini romani possono infatti avere un termine di paragone guardando allo stato delle periferie dove il Comune ha affidato il 20% circa del servizio a Roma TPL. Lì la situazione è ancora più grave che nella parte di città servita da Atac. E il confronto con altre capitali europee chiarisce che le società pubbliche che ne gestiscono i servizi, oltre ad essere ben amministrate hanno come programmatori Enti pubblici capaci di governare i complessi problemi del settore. Laddove i fallimenti della privatizzazione si sono resi irrimediabili, si è determinato un avvio di rinazionalizzazione come nelle ferrovie inglesi. In un contesto concorrenziale è difficile imporre standard normativi a tutela dell’utenza, dei lavoratori, dell’ambiente non più garantiti dall’intervento pubblico. C’è un’ulteriore notazione: Atac è una Società per Azioni, ovvero un’impresa in cui la proprietà interamente pubblica non ne modifica lo scopo di lucro (nel nostro caso con effetti disastrosi). Prevalgono così sugli obiettivi sociali le valutazioni economico aziendali ed è per questo che i problemi Atac li ha finora affrontati al modo delle aziende private: con i tagli di linee e fermate, la precarizzazione del lavoro, il dumping sociale, l’appalto di proprie funzioni a ditte esterne all’azienda, la riduzione al silenzio degli utenti.

 

  1. Questa Atac è indifendibile per la gestione che la caratterizza da molti decenni, con la produzione di un abnorme debito, un pesantissimo invecchiamento delle vetture e delle infrastrutture, una formidabile obsolescenza tecnologica, una incapacità grave nell’organizzazione del personale. Una “mala gestione” costellata da fenomeni di corruzione, prodotta da una elefantiaca dirigenza frutto del prevalere di interessi delle oligarchie politiche sugli interessi generali. È lampante la corresponsabilità di lunga data delle amministrazioni comunali, unico azionista di Atac, e di Atac medesima nella pessima conduzione dell’azienda.

 

  1. LO STATUS QUO DELLA LIBERALIZZAZIONE. I punti critici della mobilità e di Atac non potranno essere neppure sfiorati da una o più aziende; lo può fare solo un Ente pubblico di governo. Se non si prende di petto questo punto fondamentale la regolazione proposta resta del tutto marginale, di conseguenza è ininfluente con alte probabilità, semmai, di aggravare la situazione con ulteriori tagli di corse, più spinto degrado delle vetture e delle infrastrutture, aumento delle tariffe.

 

PROPOSTE PER UNA NUOVA ATAC

Paradosso: chi attacca Atac attacca un modello societario ispirato alla liberalizzazione.

La situazione in cui ci ritroviamo adesso è figlia delle politiche degli ultimi 25 anni volte a liberalizzare.

  1. Trasformazione di Atac S.p.A. in Azienda Speciale, ovvero, secondo la legge, un ente strumentale del Comune senza scopo di lucro. Quindi società di diritto pubblico, braccio del comune, veramente pubblica, non una SpA. Miglioramento dell’infrastruttura (che dire insufficiente è dir poco) sbilanciata sulla gomma, dando così uno ‘strumento’ ottimale per il gestore.
  2. Individuazione di una dirigenza controllata dal pubblico ma sottratta al clientelismo partitico con meccanismi di controllo e partecipazione da parte degli utenti e dei lavoratori mediante strumenti specifici per il loro accreditamento e intervento nei meccanismi gestori dell’ente.
  3. Riassunzione del servizio all’interno delle strutture amministrative del Comune. Rientro nell’azienda effettivamente pubblica dei servizi esternalizzati (la manutenzione, ad es.), cioè dati in affidamento ai privati.
  4. Problema di politica industriale relativo al rinnovo parco mezzi (programma di governo pluriennale dell’Azienda). Sarebbe necessario oltre al trasporto pubblico un polo pubblico per la produzione di autobus (Proposto dalla FIOM nel 2014), nell’ottica di promuovere nuove filiere economico-occupazionali e la riconversione produttiva. Oggi come oggi le forniture vanno per la sostanziale totalità all’estero, quindi ad alimentare filiere ed economie altrui. Senza mettere in discussione le regole UE su intervento pubblico, mercato e messa a gara (sia dei servizi che degli appalti) non si può pensare a nessun efficientamento e a nessuna riconversione. La battaglia quindi riguarda anche il più vasto tema del se/cosa/come produrre e verso quali obiettivi sociali. Ci togliamo la possibilità di decidere materialmente sulla produzione industriale?
  5. Proposta di legalità costituzionale: art. 43 Cost. A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale. Occorre riaffermare la primazia della fonte costituzionale (quindi mettere in discussione le sovraordinate fonti UE) e lavorare per un vero e proprio esperimento di governance partecipativa e democrazia economica. Atac cioè deve essere un punto di partenza per un nuovo modo di fare impresa per la collettività e noi per questo intendiamo lavorare.
  6. Atac come questione nazionale: falso che il problema riguardi solo Roma. In tutta Italia il trasporto pubblico è al collasso e le esternalizzazioni/messe a gara hanno comportato solo perdite occupazionali e deterioramento del servizio 
  7. Il meccanismo della concessione è lo stesso di Autostrade, con i risultati che abbiamo visto e che erano noti prima della tragedia di Genova, si veda al proposito
  1. Le periferie, a parole tutelate dai promotori, sono le prime e principali vittime delle politiche austeritarie di tagli ai servizi: è paradossale che chi le ha portate al degrado attuale si proponga oggi come il ‘salvatore’…
  2. Finalmente ci libereremmo della massa di debiti accumulati da Atac negli anni ? Falso: anche se non gestisse più il trasporto pubblico dopo una eventuale gara dovrebbe comunque essere liquidata, non potendo partecipare a gare pubbliche essendo soggetta a misura concorsuale (concordato), con una voragine che colpirebbe in particolare i piccoli creditori (chirografari) cioè le piccole realtà dell’indotto, non certo le banche che si sono senz’altro premunite di garanzie sui crediti (ipoteche sugli immobili). L’unica speranza per questi soggetti è un percorso di risanamento e gestione oculata che potrebbe portare, nel tempo, a sanare le pendenze accumulate e rientrare dell’esposizione. Facile intuire cosa ciò significherebbe per il tessuto economico cittadino… Da sottolineare anche il pressoché certo deterioramento delle condizioni di lavoro per i dipendenti e il probabile ridimensionamento della forza lavoro;
  3. Nel secondo quesito proposto si situa una vera e propria polpetta avvelenata nella consultazione: i servizi pubblici non di linea sono quel ‘capitalismo delle piattaforme’ (Uber, autobus low cost, riders…) che radicano il loro modello di impresa sulla disinvoltura fiscale, la deregolamentazione del lavoro e l’aggressione alle potestà regolative delle istituzioni pubbliche. Per noi di Indipendenza c’è anche un ulteriore motivo per rigettare questo tipo di operatori: esse sono espressione di quei vincoli derivanti dalla condizione di succube sudditanza dell’Italia alla filiera euroatlantica che ha reso il nostro Paese, dal secondo dopoguerra a oggi, sostanzialmente un protettorato atlantico. Nostro approfondimento 
  4. Con la messa a gara finiranno gli stipendi elefantiaci ai dirigenti e agli organi apicali Falso: proprio nelle società privatizzate si sta assistendo ai maggiori compensi per manager e consiglieri di amministrazione, ovviamente tali emolumenti sono pagati comunque dall’utenza che acquista il servizio (cfr. Telecom)
  5. La proposta dei Radicali è ben più ampia e riguarda tutto il sistema della connettività urbana, favorendo anche le altre modalità accanto al TPL (Anche per i servizi di trasporto non di linea è necessario aprire alla concorrenza, consentendo che diversi soggetti, sulla base di un regolamento comunale, possano offrire opportunità alternative di mobilità, anche avvalendosi degli strumenti più innovativi messi a disposizione dalla tecnologia, per garantire alla città forme di mobilità integrative che possano soddisfare, nel loro complesso, la domanda di trasporti dei cittadini, superando così alcune delle incertezze e le opacità normative che non consentono al settore nel suo complesso di svilupparsi in tutte le sue potenzialità).Sistemi come Uber sono fondati sullo sfruttamento del lavoro, sull’elusione fiscale e portano all’arricchimento di compagini societarie estere tutt’altro che trasparenti.
  6. Atac è un’impresa decotta. Falso: dalla lettura del bilancio 2016 (ultimo disponibile on line p.8): Al netto dei suddetti accantonamenti la perdita sarebbe stata pari a circa euro 39 milioni. Dai dati rilevati dalla precedente gestione, nel 2016 il MOL è stato positivo (+82,6 milioni di euro) ed in crescita di circa euro 27 milioni rispetto al 2015, seppure al di sotto delle aspettative come incidenza sul valore della produzione. Il MOL (margine operativo lordo  conto economico riclassificato a p.55 ) è un indicatore fondamentale per capire l’andamento di un’impresa, esso indica, in sostanza la sua capacità di generare reddito attraverso la gestione ordinaria. Un MOL positivo indica la sussistenza di una struttura imprenditoriale recuperabile intervenendo sulle altre voci che appesantiscono il risultato complessivo.
  7. Chi potrebbe avere interesse a una liquidazione di Atac? Per esempio gli immobiliaristi: basta scorrere (pp. 53 ss al link sopra) la lista di immobili da alienare per capire che si tratta di aree di potenziale appetito per la speculazione del cemento…
  8. In caso di vittoria del SI, il problema uscirà definitivamente dal campo visuale dei cittadini romani e dei loro rappresentanti. Per essere gestito da altri. Ragione ad un tempo necessaria e sufficiente per VOTARE NO.

 

Indipendenza

25 ottobre 2018

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CEDIMENTO SCALA MOBILE A ROMA: EFFETTI DELLA LIBERALIZZAZIONE / PRIVATIZZAZIONE DI ATAC!

Fermata Repubblica della metropolitana di Roma. Il 23 ottobre scorso, il giorno della partita Roma-Cska Mosca, cede la parte finale della scala mobile: 24 feriti, 6 in codice rosso. La versione che comincia a viaggiare nell’etere parla di tifosi russi che, ubriachi, saltando sulla scala, avrebbero determinato il cedimento. Un loro comunicato smentirà poco dopo tale versione, come del resto si riscontrerà in un video che mostra come nessuno stesse saltando e come la scala mobile fosse ‘impazzita’ andando giù ad una velocità anomala rispetto al normale.

Molto significativo questo grave fatto di cronaca. Vediamo il perché. Atac, da molti anni, è una Società per Azioni, ovvero un’impresa in cui la proprietà interamente pubblica non ne modifica lo scopo di lucro (con effetti disastrosi). Prevalgono cioè, sugli obiettivi sociali, le valutazioni economico aziendali ed è per questo che i problemi Atac li ha finora affrontati al modo delle aziende private: tagli di linee e fermate, precarizzazione del lavoro, dumping sociale, appalto di proprie funzioni a ditte esterne all’azienda (ad esempio per la manutenzione), riduzione al silenzio di lavoratori critici (anche con licenziamenti) e di utenti. Per la cronaca Atac possiede l’80%; il 20% è già stato liberalizzato ed è gestito dal consorzio di imprese private Roma TPL che eroga un servizio nelle periferie anche peggiore e per giunta paga gli stipendi a singhiozzo.

In linea con quanto sopra, anche per la manutenzione delle scale mobili della metro romana viene indetta una gara d’appalto. Ad aggiudicarsela (per tre anni) è il gruppo Rti Del Vecchio srl di Napoli (mandataria) e Givan Group Srl di Fiumicino (mandante), che sbaraglia la concorrenza offrendo il servizio con un massimo ribasso di circa il 50% (la cifra offerta è di 11 milioni e mezzo di euro su un quadro economico complessivo a base di gara di 22 milioni e 900mila) e garantendo oltre alla manutenzione ordinaria anche il pronto intervento ed i collaudi.

Vi sono ambiti di interesse collettivo (come il trasporto, le autostrade, l’energia e molti altri) che non dovrebbero mai essere privatizzati. Il privato persegue il profitto, il pubblico –se effettivamente tale e non un modo diverso per dire privato o gestione privatistica– no! Non è una differenza da poco, tanto più in ambiti che sono in sé da ‘monopolio naturale’ necessariamente pubblico. Restando sul trasporto cosiddetto pubblico a Roma: aver innescato meccanismi di concorrenza se non subito, certo nel medio periodo determina un drastico peggioramento del sistema di trasporto perché tutto ricade sulla riduzione della manutenzione, sulla riduzione dei salari dei lavoratori, sulla riduzione complessiva della qualità del servizio. Liberalizzare significa che le aziende senza rischio d’impresa utilizzano i finanziamenti pubblici, oltretutto usufruendo delle infrastrutture pubbliche (reti elettriche, binari, fermate, pensiline e probabilmente depositi) pagati dalla collettività. Per ottenere più profitto, quindi, lo si ricaverà sulle spalle dei dipendenti (meno salario, peggioramento delle condizioni di lavoro, sfruttamento) e dei cittadini (taglio di linee non remunerative, soppressione di turni e bus in zone periferiche meno appetibili).

Ora, l’11 novembre a Roma si vota al referendum consultivo su Atac. Chi attacca Atac, facendo credere che sia un carrozzone pubblico inefficiente, corrotto, indebitato, omette di precisare che sta parlando di Atac SpA il cui modello societario e quindi di gestione è ispirato alla liberalizzazione, che produce situazioni anche come quella del cedimento della scala mobile di Roma. È la logica del profitto perseguito costi quel che costi. Dentro questa stessa logica si è consumata la tragedia del Ponte Morandi di Genova. Dentro questa logica neoliberista che ha assunto, in questa fase, la forma predominante della gabbia unionista europea, il pubblico deve morire!

Votare NO l’11 novembre significa non difendere ‘questa’ Atac SpA bensì porre il nodo di una ripublicizzazione di Atac, contro il modello da Roma TPL che si vorrebbe estendere in modo dominante e indiscusso, senza più nemmeno la formale proprietà pubblica esercitata dal Comune.

Comitato NO referendum Atac – Indipendenza

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Roghi, gare deserte e tagli: quali snodi politici dietro la ‘partita Atac’

Mentre erano in servizio, sono andati a fuoco, ieri (8 maggio 2018), a Roma, due autobus, uno in centro (via del Tritone), l’altro in periferia (via di Castel Porziano). Con questi salgono a 32 i mezzi andati a fuoco dal 2017 a tale data. Ritorna il problema della scarsa manutenzione, di mezzi molto vecchi e della relativa scarsità dei pezzi di ricambio. Tra tagli dei finanziamenti e finanziamenti pubblici a privati –nelle periferie il servizio è della privata Roma Tpl da tempo agli albori delle cronache per carenze nel servizio (corse saltate), stipendi pagati in ritardo, normative/carichi di lavoro/turni al di fuori del CCNL oltre che la mancanza del Contratto di 2° Livello– abbiamo un esempio di cosa significhino i tagli al servizio e le esternalizzazioni a società private, convenienti perché fanno risparmiare ed i lavoratori ‘costano meno’, al netto di un servizio tutt’altro che efficiente.

Nel 2014 la Fiom-CGIL lanciò l’idea di un polo pubblico per la produzione di autobus (vedasi qui , qui e qui, alla luce di quanto sta succedendo occorre riproporre tale rivendicazione: i servizi pubblici non possono né devono dipendere dagli arbitri delle multinazionali dell’automotive. È del pari evidente che lo sganciamento dai meccanismi comunitari della ‘gara’ sia un passo altrettanto ineludibile. Occupazione, riorientamento delle politiche di trasporto e tutela dei diritti essenziali dei cittadini dovranno procedere insieme.

Su Atac si gioca una grossa partita politica. Per chi, promuovendo il referendum consultivo fissato per l’autunno, intende creare un precedente ed aprire un fronte per privatizzare tutti i servizi, episodi come i due su citati vengono in queste ore utilizzati per rinforzare l’assunto ideologico che ‘pubblico’ significa inefficienza-sprechi, e che l’alternativa sia liberalizzare/privatizzare. C’è un grosso lavoro politico per spiegare la filiera dei perché (responsabilità politiche locali e nazionali, ed effetti del sistema vincolistico europeo), per rovesciare questa Grande Narrazione, per mostrare la gestione privatistica del servizio pubblico (Atac è emblematica nel suo non essere un caso isolato), per costruire una proposta effettiva di servizio pubblico.

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