Uber: un esempio di ‘capitalismo delle piattaforme’

Condividiamo questa intervista a Eva Raffaella Desana su Uber come esempio di quel ‘capitalismo delle piattaforme’ che radicano il loro modello di impresa sulla disinvoltura fiscale, la deregolamentazione del lavoro e l’aggressione alle potestà regolative delle istituzioni pubbliche.

Sistemi come Uber portano all’arricchimento di compagini societarie estere, peraltro tutt’altro che trasparenti, aprendo una fase nuova e ancora più pervasiva di sudditanza per il nostro tessuto economico e sociale.
Per Indipendenza c’è infatti questo ulteriore motivo per rigettare tale tipo di operatori, espressione di quei vincoli derivanti dalla condizione di sudditanza dell’Italia alla filiera euroatlantica che ha reso il nostro Paese, dal secondo dopoguerra a oggi, sostanzialmente un protettorato atlantico.

Con questo spirito ci siamo opposti anche al secondo quesito del referendum civico sul trasporto pubblico a Roma, lo scorso 11 novembre, e oggi continua la nostra rivendicazione per un trasporto pubblico di qualità e al servizio della cittadinanza.

 

Verso il voto: le ragioni del NO al referendum Atac

Atac: noi non smobilitiamo!

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Atac: noi non smobilitiamo!

Comunicato, venerdì 16 novembre 2018

ROMA/ DOPO IL REFERENDUM SUL TRASPORTO PUBBLICO LOCALE.
PRIMA RIUNIONE

Giovedì 15 novembre si è tenuta una prima riunione di diversi comitati per il NO presso la sede dell’ass. Indipendenza, a Tiburtina. Presenti, oltre al Comitato NO referendum Atac (Indipendenza), anche Comitato Utenti e Lavoratori in difesa del Trasporto Pubblico, Decide Roma Polo Acqua Pubblica, C.a.l.m.a., Pendolari Roma-Lido, Comitato Atac Bene Comune.

La riunione si è dato l’obiettivo di rilanciare il trasporto pubblico urbano di Roma modificando la forma societaria di Atac da S.p.A ad Azienda Speciale Pubblica. Su questo apriremo la discussione tra i cittadini ed i lavoratori del settore. Atac così com’è non funziona e non funzionerà. La verifica si deve adempiere con l’ingresso al controllo dell’azienda da parte dei cittadini e dei lavoratori.

Seguiranno altre riunioni, assemblee, dibattiti su questo tema con i cittadini, i lavoratori, le istituzioni. Non vogliamo i privati nel trasporto a Roma e in Italia.
Cambiare Atac si può.

 

Riportiamo di seguito anche il comunicato congiunto di tutte le componenti riunite:

NOI NON SMOBILITIAMO!

Giovedì 15 Novembre alle ore 19:30, i sottoscritti “comitati per il NO” in assemblea aperta presso la sede dell’associazione Indipendenza (Monti Tiburtini – via Luigi Barzini senior, 38), analizzato l’esito referendario per la privatizzazione di Atac, svoltosi l’11 Novembre, ritengono:

1) il risultato insoddisfacente e pericoloso per il destino e il futuro dei servizi pubblici locali, della collettività e del mondo del lavoro afferente;
2) pericoloso direttamente o indirettamente per il mondo del lavoro in tutte le Partecipate Pubbliche di Roma Capitale;
3) decide di perseguire l’obiettivo di rilanciare la dimensione pubblica a partire dal trasporto urbano di Roma, come uno dei principali “asset” economici sociali e ambientali che devono costituire un nuovo e importante motore di sviluppo per la Capitale.

Ritengono unitariamente che:
A) tale obiettivo politico, così come accade in tante altre capitali europee, sia realizzabile modificando la forma Societaria di Atac da Spa ad Azienda Speciale Pubblica, per riportare in maniera inequivocabile, “mission” e ragione sociale, dentro indirizzi strategici e funzionali al radicale cambiamento gestionale di Atac;

  1. B) che siano obiettivi complementari al ruolo terzo della pianificazione pubblica, che deve prevalentemente lavorare in autonomia:
    b1) per la riconversione della rete da gomma alla ferrotranvia;
    b2) al completamento delle linee metro;
    b3) ai non più rinviabili interventi infrastrutturali a partire dalle corsie preferenziali;
    b4) al reperimento stabile e continuativo delle risorse dovute a Roma Capitale quarta area metropolitana di Europa capaci di compensare gli extra costi indotti dalle peculiarità di Roma;
    b5) ad una adeguata “governance” territoriale che abbia come obiettivo prioritario arginare il 75% del traffico privato e commerciale e rispondere alle istanze del pendolarismo pretendendo un effettivo sistema integrato del trasporto con le 8 Fm del Lazio e le 3 Fs concesse;
  2. C) che tale piattaforma programmatica abbia in sé:
    c1) l’obiettivo speculare di una rigorosa tutela della salute pubblica e dell’ambiente;
    c2) la compiuta realizzazione del diritto alla mobilità sostenibile e alternativa con segmenti garantiti e in sicurezza di ciclopedonalità;
    c3) complementari occasioni di lavoro e occupazione.
  3. D) Che tale piattaforma programmatica abbia in sé non soltanto il dovere di una salvaguardia degli attuali livelli occupazionali, ma anche meccanismi di incentivazione allo sviluppo nei vari livelli del settore.
  4. E) Che tale piattaforma programmatica sia l’unica strada per dedicare una particolare attenzione alle fasce deboli di utenza per la quale offrire, una volta a regime, anche modelli di gratuità del servizio.
  5. F) Che in tale piattaforma programmatica e sociale non si possa eludere l’esigenza della costruzione di modelli partecipati in ogni municipio per una pubblica e aperta condivisione degli indirizzi strategici sul trasporto, costruendo relazioni costanti con realtà associative territoriali, centri di ricerca e università che abbiano reali poteri decisionali.

Per questi motivi, sapendo che sotto la pelle dei risultati dell’astensione è ben presente un malessere scevro dalle strumentalizzazioni dei radicali e del PD, è ben presente l’interesse di corporazioni di interesse specifico per privatizzare il settore a vantaggio dei privati che non rinuncerà a tale lucroso obiettivo, noi non ci accontentiamo del mancato raggiungimento del quorum e puntiamo sulle nostre ragioni, che traguardino obiettivi sociali che vanno oltre la questione Atac di oggi ma per un Atac del domani, nella consapevolezza che non affrontare il problema per quel che è, significa ignorare dati di fatto che già oggi rappresentano i problemi di tutte le aziende pubbliche e per l’intera comunità.

Noi siamo convinti di agire politicamente per gli interessi collettivi e da Roma Capitale su questi temi lanciamo una piattaforma di sfida politica e programmatica; una sfida contro la logica delle privatizzazioni e l’esclusiva ricerca del profitto in tutti i beni comuni e indivisibili.
Apriremo la discussione nelle istituzioni municipali, nelle associazioni e tra i lavoratori del settore, con tutti i sindacati, proponendo una proposta di legge di iniziativa popolare per la quale raccoglieremo il consenso tra gli utenti e il mondo del lavoro. Perché siamo convinti che la “governance” di Atac, condizionata dai fattori esterni sopraelencati, così com’è non funziona e non funzionerà a prescindere dal concordato. E siamo convinti che altri inconfessabili disegni spingono per soluzioni non dichiarate ma che in caso di fallimento servirebbero un “assist” formidabile agli interessi costituiti e rappresentati anche in questo referendum, comunque per la privatizzazione non solo di Atac ma di tutte le Partecipate Pubbliche.

Noi puntiamo ad una svolta reale che:
G) contribuisca ad un nuovo modello di città in cui si produca occupazione, tutela ambientale e libertà di movimento.
g1) Non minore, ma maggiore servizio di trasporto in tutti i quadranti territoriali per ricucire territori smembrati dal nuovo piano regolatore e che registrano una domanda crescente di mobilità.
g2) che riporti il controllo effettivo di un importantissimo braccio strumentale nell’alveo dei doveri dell’istituzione Comune di Roma, che deve riconoscere e rappresentare una matura e dimostrata capacità elaborativa e propositiva dei cittadini e dei lavoratori del settore;
g3) che chiede un nuovo modello che includa la reinternalizzazione delle attività primarie, dalle manutenzioni, al soccorso stradale alle pulizie e rifornimento per prima uscita e rientrata a fine turno;
g4) che, sull’indotto, controlli e prevenga il “dumping” sociale dato dalle dinamiche degli affidamenti in subappalto al massimo ribasso;
g5) che smantelli filiere politiche e clientelari di appartenenza e imponga una trasparente selezione con procedure ad evidenza pubblica e parametri e criteri meritocratici del “management” apicale e dei gruppi dirigenti allocati nelle macrostrutture con valutazioni trimestrali;
g6) che a tale proposito ricostruisca degli organismi di controllo autonomi e terzi fuori dal rischio di cattura da parte dei potentati economici e della mala politica.

Per questo seguiranno altre riunioni, assemblee e dibattiti su questo tema con cittadini, lavoratori e istituzioni. Aperte alla inclusione e partecipazione di altri soggetti associativi che vogliono capire e discutere anche da posizioni diametralmente diverse. Per noi, dopo l’acclarato fallimento delle politiche di privatizzazioni dei servizi pubblici, in Italia e in Europa, la sfida da cogliere senza se e senza ma, in termini di politiche industriali, trasparenza e moralità, di gestione e organizzazione, di rispetto dei diritti degli utenti e dei lavoratori, è: “far funzionare il pubblico meglio del privato”.

Non vogliamo i privati nel trasporto a Roma o in Italia, perché gli innesti di settori in “outsourcing” regalati ai privati hanno portato non solo Atac ma buona parte delle Partecipate Pubbliche allo stato di crisi in cui sono. E presto con l’uberizzazione dell’economia reale e dei servizi pubblici sarà un problema da affrontare anche nel mondo dei taxi.
Sul tema della mobilità, con l’esperienza di Roma TPL, a cui è stato ceduto il 30% della rete pubblica nelle periferie, i romani con i privati hanno già dato.
Cambiare Atac si può, renderla più produttiva, efficiente e di qualità si deve, perché con questo cambiamento reale e non con le scorciatoie a favore dei privati, miglioreremo realmente la qualità della vita, del lavoro, delle relazioni umane e sociali e dell’ecosostenibilità ambientale per tutti noi.

Atac Bene Comune, Calma, Lavoratori e Utenti, Pendolari Roma Lido, Coord. Decide Roma-Acqua Pubblica, Indipendenza, Mobilit@s

Comunicato-su-incontro-15-novembre

atac non smobilitiamo

Il manganello euroatlantico sul trasporto pubblico locale: Milano, Genova e Firenze

CasaPound su Atac e Tav

Confindustria Roma per il sì al referendum Atac: dubbi su cosa votare?

Il PD romano per il SI al referendum Atac: quali risvolti dietro tale decisione

Atac: il NO al bar e al lavoro

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Verso il voto: le ragioni del NO al referendum Atac

vi invitiamo ad aderire all’evento facebook per il voto di domenica 11 e a divulgare il video/documento di seguito, oltre ovviamente agli altri documenti politici già elaborati.

Atac/11 novembre: perché votare NO

Atac: il NO al bar e al lavoro

Perché NO

 

– Per cosa si vota l’11 novembre a Roma?
Per la liberalizzazione del trasporto pubblico locale di superficie e sotterraneo, il che apre alla fattiva totale privatizzazione (primo quesito) e (secondo quesito) per “l’esercizio di trasporti collettivi non di linea in ambito locale a imprese operanti in concorrenza”, cioè quel ‘capitalismo delle piattaforme’ (Uber, autobus low cost, riders…) che radicano il loro modello di impresa sulla disinvoltura fiscale, la deregolamentazione del lavoro e l’aggressione alle potestà regolative delle istituzioni pubbliche. Sistemi come Uber portano all’arricchimento di compagini societarie estere, peraltro tutt’altro che trasparenti. Per Indipendenza c’è anche un ulteriore motivo per rigettare questo tipo di operatori: esse sono espressione di quei vincoli derivanti dalla condizione di succube sudditanza dell’Italia alla filiera euroatlantica che ha reso il nostro Paese, dal secondo dopoguerra a oggi, sostanzialmente un protettorato atlantico.

– Quali sarebbero gli svantaggi di una liberalizzazione del trasporto pubblico a Roma?
Liberalizzare significa che le aziende senza rischio d’impresa utilizzano i finanziamenti pubblici, oltretutto usufruendo delle infrastrutture pubbliche (reti elettriche, binari, fermate, pensiline e probabilmente depositi) pagati dalla collettività. Ora, per ottenere un profitto, questo lo si ricaverà sulle spalle dei dipendenti (meno salario, peggioramento delle condizioni di lavoro, sfruttamento) e dei cittadini (taglio di linee non remunerative, soppressione di turni e bus in zone periferiche meno appetibili).

– Perché è importante andare a votare?
Per dare un segnale politico: il trasporto, come altri ambiti strategici, è un monopolio naturale pubblico. Il privato persegue il profitto, il pubblico no. Strutturalmente non è una differenza da poco. Metterli sullo stesso piano è più che forzato. Innescare meccanismi di concorrenza (se nei primi momenti può produrre meccanismi positivi) nel medio periodo determina un drastico peggioramento del sistema di trasporto. Quando si introducono questi meccanismi competitivi, di concorrenza, è inevitabile che tutto ricada sulla riduzione della manutenzione, dei salari dei lavoratori, della qualità del trasporto. È un dato di fatto. Dimostrabile proprio sull’esperienza romana della consorziata privata di Roma TPL, che (mal) gestisce il trasporto nelle periferie, e sulla base di quanto già avvenuto in diverse città e capitali in Europa (ritorno al monopolio pubblico) e sta avvenendo in altre. Il confronto con altre capitali europee chiarisce che le società pubbliche che ne gestiscono i servizi, oltre ad essere ben amministrate hanno come programmatori Enti pubblici capaci di governare i complessi problemi del settore. Laddove i fallimenti della privatizzazione si sono resi irrimediabili, si è determinato un avvio di rinazionalizzazione come nelle ferrovie inglesi.
Insomma, con una battuta: per essere cittadini e non clienti.

– Quali sono i problemi di Atac?
Atac è una Società per Azioni, ovvero un’impresa in cui la proprietà interamente pubblica non ne modifica lo scopo di lucro (nel nostro caso con effetti disastrosi). Prevalgono così sugli obiettivi sociali le valutazioni economico aziendali ed è per questo che i problemi Atac S.p.A. li ha finora affrontati al modo delle aziende private: con i tagli di linee e fermate, la precarizzazione del lavoro, il dumping sociale, l’appalto di proprie funzioni a ditte esterne all’azienda. I cittadini romani possono avere un termine di paragone guardando allo stato delle periferie (e chi vi abita lo sa bene) dove il Comune ha affidato più del 40% del servizio a Roma TPL. Lì la situazione è ancora più grave che nella parte di città servita da Atac. In un contesto concorrenziale è difficile imporre livelli normativi a tutela dell’utenza, dei lavoratori, dell’ambiente non più garantiti dall’intervento pubblico.

– A cosa sono dovuti?
A questa Atac S.p.A. indifendibile per la gestione che la caratterizza da almeno un paio di decenni circa, con la produzione di un abnorme debito, un pesantissimo invecchiamento delle vetture e delle infrastrutture, una formidabile obsolescenza tecnologica, una incapacità grave nell’organizzazione del personale. Una “mala gestione” costellata da fenomeni di corruzione, prodotta da una elefantiaca dirigenza frutto del prevalere di interessi delle oligarchie politiche sugli interessi generali. È lampante la corresponsabilità di lunga data delle amministrazioni comunali, unico azionista di Atac, e di Atac medesima nella pessima conduzione dell’azienda, in un generale abbandono che –non è la prima volta– sembra fatto apposta per aprire le porte ai privati.

– Perché votare no?
Per dire NO al peggioramento del servizio che avrebbe con la vittoria del SI un preoccupante volàno politico-mediatico. La situazione in cui ci ritroviamo adesso è figlia delle politiche degli ultimi 25 anni volte a liberalizzare. Il paradosso è che chi perora il SI attaccando Atac, attacca un modello societario ispirato proprio alla liberalizzazione. Lo scioglimento del paradosso è che chi ha indetto il referendum lo fa perché vuole eliminare quel formale riferimento alla attuale proprietà del Comune.
Insomma, un NO che sia solo il primo passo per una battaglia politica che deve continuare.

– Con quali rivendicazioni ed obiettivi?
Vediamo i principali.
Trasformazione di Atac S.p.A. in Azienda Speciale, ovvero, secondo la legge, un ente strumentale del Comune senza scopo di lucro. Quindi società di diritto pubblico, braccio del comune, veramente pubblica, non una SpA.
Miglioramento dell’infrastruttura (che dire insufficiente è dir poco) sbilanciata sulla gomma, dando così uno ‘strumento’ ottimale per il gestore.
Individuazione di una dirigenza controllata dal pubblico ma sottratta al clientelismo partitico con meccanismi di controllo e partecipazione da parte degli utenti e dei lavoratori mediante strumenti specifici per il loro accreditamento e intervento nei meccanismi di gestione dell’ente, coerentemente con l’art. 43 della Costituzione.
Riassunzione del servizio all’interno delle strutture amministrative del Comune e rientro nell’azienda effettivamente pubblica dei servizi esternalizzati (la manutenzione, ad es.), cioè dati in affidamento ai privati.
Polo pubblico per la produzione di autobus, tram e bus elettrici, nell’ottica di promuovere nuove filiere economico-occupazionali e riconversione produttiva. Oggi come oggi le forniture vanno per la sostanziale totalità all’estero, quindi ad alimentare filiere ed economie altrui. Perché toglierci la possibilità di decidere materialmente sulla produzione industriale?
Tutto questo rimanda ovviamente a qualcosa di più generale e ‘strategico’. Senza mettere in discussione le regole dell’Unione Europea su intervento pubblico, mercato e messa a gara (sia dei servizi che degli appalti) non si può pensare a nessun rilancio e a nessuna riconversione. La battaglia quindi riguarda anche il più vasto tema del se/cosa/come produrre e verso quali obiettivi sociali.

– Il Comitato del No cesserà la sua attività dopo il voto o proseguirà la sua opera con altri programmi e iniziative?
Come si diceva il tema non si archivia, quale che sia l’esito della consultazione referendaria. La vittoria del SI peggiorerebbe lo status quo, ma la stessa vittoria del NO la vediamo come un presupposto, una condizione necessaria ma non sufficiente, perché anche il mantenimento di detto status quo è inaccettabile. Puntiamo a proseguire sulla base delle direttrici sopra indicate, e confidiamo di farlo d’intesa con quei comitati del NO con i quali abbiamo stretto rapporti e stiamo condividendo questa comune battaglia referendaria.

intervista doppia SI/NO in ‘Il ventriloco’-Trastevere

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Atac: il NO al bar e al lavoro

Proponiamo alcuni brevi ‘spunti di riflessione’ per meglio delineare in termini sintetici la nostra prospettiva in vista del voto, fermi restando i due comunicati, quello esteso/propositivo e quello politico, che articolano la nostra prospettiva e il nostro contributo specifico in vista della consultazione

Atac/11 novembre: perché votare NO

Perché NO

  • Finalmente ci libereremmo della massa di debiti accumulati da Atac negli anni ? Falso: anche se non gestisse più il trasporto pubblico dopo una eventuale gara dovrebbe comunque essere liquidata, non potendo partecipare a gare pubbliche essendo soggetta a misura concorsuale (concordato), con una voragine che colpirebbe in particolare i piccoli creditori (chirografari) cioè le piccole realtà dell’indotto, non certo le banche che si sono senz’altro premunite di garanzie sui crediti (ipoteche sugli immobili). L’unica speranza per questi soggetti è un percorso di risanamento e gestione oculata che potrebbe portare, nel tempo, a sanare le pendenze accumulate e rientrare dell’esposizione. Facile intuire cosa ciò significherebbe per il tessuto economico cittadino… Da sottolineare anche il pressoché certo deterioramento delle condizioni di lavoro per i dipendenti e il probabile ridimensionamento della forza lavoro;
  • Nel secondo quesito proposto si situa una vera e propria polpetta avvelenata nella consultazione: i servizi pubblici non di linea sono quel ‘capitalismo delle piattaforme’ (Uber, autobus low cost, riders…) che radicano il loro modello di impresa sulla disinvoltura fiscale, la deregolamentazione del lavoro e l’aggressione alle potestà regolative delle istituzioni pubbliche. Per noi di Indipendenza c’è anche un ulteriore motivo per rigettare questo tipo di operatori: esse sono espressione di quei vincoli derivanti dalla condizione di succube sudditanza dell’Italia alla filiera euroatlantica che ha reso il nostro Paese, dal secondo dopoguerra a oggi, sostanzialmente un protettorato atlantico. Nostro approfondimento
  • Proposta di ‘legalità costituzionale’: art. 43 Cost. A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale. Occorre riaffermare la primazia della fonte costituzionale (quindi mettere in discussione le sovraordinate fonti UE) e lavorare per un vero e proprio esperimento di governance partecipativa e democrazia economica. Atac cioè deve essere un punto di partenza per un nuovo modo di fare impresa per la collettività e noi per questo intendiamo lavorare.
  • Problema di politica industriale relativo al rinnovo parco mezzi. Sarebbe necessario oltre al trasporto pubblico un polo pubblico per la produzione di autobus (Proposto dalla FIOM nel 2014), nell’ottica di promuovere nuove filiere economico-occupazionali e la riconversione produttiva. Oggi come oggi le forniture vanno per la sostanziale totalità all’estero, quindi ad alimentare filiere economie altrui. Senza mettere in discussione le regole UE su intervento pubblico, mercato e messa a gara (sia dei servizi che degli appalti) non si può pensare a nessun efficientamento e a nessuna riconversione. La battaglia quindi riguarda anche il più vasto tema del se/cosa/come produrre e verso quali obiettivi sociali.
  • Atac come ‘questione nazionale’: falso che il problema riguardi solo Roma. In tutta Italia il trasporto pubblico è al collasso e le esternalizzazioni/messe a gara hanno comportato solo perdite occupazionali e deterioramento del servizio Nostro approfondimento 
  • Le periferie, a parole tutelate dai promotori, sono le prime e principali vittime delle politiche austeritarie di tagli ai servizi: è paradossale che chi le ha portate al degrado attuale si proponga oggi come il ‘salvatore’…

Rinnoviamo l’invito all’iniziativa del prossimo martedì 30 ottobre all’Arci Garbatella

 

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Atac/11 novembre: perché votare NO

ATAC: PERCHÉ VOTARE NO

documento aggiuntivo al comunicato politico 

  1. Il trasporto pubblico è uno dei monopoli naturali. Il privato persegue il profitto, il pubblico no e strutturalmente non è una differenza da poco. Metterli sullo stesso piano è più che forzato. Innescare meccanismi di concorrenza (se nei primi momenti può produrre meccanismi positivi) nel medio periodo determina un drastico peggioramento del sistema di trasporto pubblico locale. È un dato di fatto. Dimostrabile sulla base delle indagini in altre città e capitali in Europa si vede che si sta cercando di tornare al monopolio pubblico.  Quando si introducono questi meccanismi competitivi, di concorrenza, spessissimo tutto ricade sulla riduzione della manutenzione, sulla riduzione dei salari dei lavoratori, sulla riduzione complessiva della qualità del sistema di trasporto.

 

  1. Liberalizzare significa che le aziende senza rischio d’impresa utilizzano i finanziamenti pubblici, oltretutto usufruendo delle infrastrutture pubbliche (reti elettriche, binari, fermate, pensiline e probabilmente depositi) pagati dalla collettività. Ora, per ottenere un profitto, questo lo si ricaverà sulle spalle dei dipendenti (meno salario, peggioramento delle condizioni di lavoro, sfruttamento) e dei cittadini (taglio di linee non remunerative, soppressione di turni e bus in zone periferiche meno appetibili).

 

  1. Atac possiede l’80% (il 20% è già stato liberalizzato ed è gestito dal consorzio di imprese private Roma TPL) fin dai primi anni 2000 è stato avviato un lungo processo in vista della liberalizzazione e proprio dal 2009 si ha un peggioramento verticale del servizio. Con il referendum del 2011 non è più stata liberalizzata. L’Atac è lo status quo, il portato ideologico di una logica di liberalizzazione innescata nel 2009. Esternalizzazioni fallimentari. La stragrande maggioranza del debito di ATAC nasce dal fatto che il comune ha scaricato su ATAC le disfunzionalità operative ed i costi del servizio attraverso il meccanismo degli anticipi tra 2006 e 2009. Dal canto suo il consorzio privato Roma TPL non eroga affatto un servizio migliore rispetto a quello di ATAC e per giunta paga gli stipendi a singhiozzo.  PRIVATO E PUBBLICO. I cittadini romani possono infatti avere un termine di paragone guardando allo stato delle periferie dove il Comune ha affidato il 20% circa del servizio a Roma TPL. Lì la situazione è ancora più grave che nella parte di città servita da Atac. E il confronto con altre capitali europee chiarisce che le società pubbliche che ne gestiscono i servizi, oltre ad essere ben amministrate hanno come programmatori Enti pubblici capaci di governare i complessi problemi del settore. Laddove i fallimenti della privatizzazione si sono resi irrimediabili, si è determinato un avvio di rinazionalizzazione come nelle ferrovie inglesi. In un contesto concorrenziale è difficile imporre standard normativi a tutela dell’utenza, dei lavoratori, dell’ambiente non più garantiti dall’intervento pubblico. C’è un’ulteriore notazione: Atac è una Società per Azioni, ovvero un’impresa in cui la proprietà interamente pubblica non ne modifica lo scopo di lucro (nel nostro caso con effetti disastrosi). Prevalgono così sugli obiettivi sociali le valutazioni economico aziendali ed è per questo che i problemi Atac li ha finora affrontati al modo delle aziende private: con i tagli di linee e fermate, la precarizzazione del lavoro, il dumping sociale, l’appalto di proprie funzioni a ditte esterne all’azienda, la riduzione al silenzio degli utenti.

 

  1. Questa Atac è indifendibile per la gestione che la caratterizza da molti decenni, con la produzione di un abnorme debito, un pesantissimo invecchiamento delle vetture e delle infrastrutture, una formidabile obsolescenza tecnologica, una incapacità grave nell’organizzazione del personale. Una “mala gestione” costellata da fenomeni di corruzione, prodotta da una elefantiaca dirigenza frutto del prevalere di interessi delle oligarchie politiche sugli interessi generali. È lampante la corresponsabilità di lunga data delle amministrazioni comunali, unico azionista di Atac, e di Atac medesima nella pessima conduzione dell’azienda.

 

  1. LO STATUS QUO DELLA LIBERALIZZAZIONE. I punti critici della mobilità e di Atac non potranno essere neppure sfiorati da una o più aziende; lo può fare solo un Ente pubblico di governo. Se non si prende di petto questo punto fondamentale la regolazione proposta resta del tutto marginale, di conseguenza è ininfluente con alte probabilità, semmai, di aggravare la situazione con ulteriori tagli di corse, più spinto degrado delle vetture e delle infrastrutture, aumento delle tariffe.

 

PROPOSTE PER UNA NUOVA ATAC

Paradosso: chi attacca Atac attacca un modello societario ispirato alla liberalizzazione.

La situazione in cui ci ritroviamo adesso è figlia delle politiche degli ultimi 25 anni volte a liberalizzare.

  1. Trasformazione di Atac S.p.A. in Azienda Speciale, ovvero, secondo la legge, un ente strumentale del Comune senza scopo di lucro. Quindi società di diritto pubblico, braccio del comune, veramente pubblica, non una SpA. Miglioramento dell’infrastruttura (che dire insufficiente è dir poco) sbilanciata sulla gomma, dando così uno ‘strumento’ ottimale per il gestore.
  2. Individuazione di una dirigenza controllata dal pubblico ma sottratta al clientelismo partitico con meccanismi di controllo e partecipazione da parte degli utenti e dei lavoratori mediante strumenti specifici per il loro accreditamento e intervento nei meccanismi gestori dell’ente.
  3. Riassunzione del servizio all’interno delle strutture amministrative del Comune. Rientro nell’azienda effettivamente pubblica dei servizi esternalizzati (la manutenzione, ad es.), cioè dati in affidamento ai privati.
  4. Problema di politica industriale relativo al rinnovo parco mezzi (programma di governo pluriennale dell’Azienda). Sarebbe necessario oltre al trasporto pubblico un polo pubblico per la produzione di autobus (Proposto dalla FIOM nel 2014), nell’ottica di promuovere nuove filiere economico-occupazionali e la riconversione produttiva. Oggi come oggi le forniture vanno per la sostanziale totalità all’estero, quindi ad alimentare filiere ed economie altrui. Senza mettere in discussione le regole UE su intervento pubblico, mercato e messa a gara (sia dei servizi che degli appalti) non si può pensare a nessun efficientamento e a nessuna riconversione. La battaglia quindi riguarda anche il più vasto tema del se/cosa/come produrre e verso quali obiettivi sociali. Ci togliamo la possibilità di decidere materialmente sulla produzione industriale?
  5. Proposta di legalità costituzionale: art. 43 Cost. A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale. Occorre riaffermare la primazia della fonte costituzionale (quindi mettere in discussione le sovraordinate fonti UE) e lavorare per un vero e proprio esperimento di governance partecipativa e democrazia economica. Atac cioè deve essere un punto di partenza per un nuovo modo di fare impresa per la collettività e noi per questo intendiamo lavorare.
  6. Atac come questione nazionale: falso che il problema riguardi solo Roma. In tutta Italia il trasporto pubblico è al collasso e le esternalizzazioni/messe a gara hanno comportato solo perdite occupazionali e deterioramento del servizio 
  7. Il meccanismo della concessione è lo stesso di Autostrade, con i risultati che abbiamo visto e che erano noti prima della tragedia di Genova, si veda al proposito
  1. Le periferie, a parole tutelate dai promotori, sono le prime e principali vittime delle politiche austeritarie di tagli ai servizi: è paradossale che chi le ha portate al degrado attuale si proponga oggi come il ‘salvatore’…
  2. Finalmente ci libereremmo della massa di debiti accumulati da Atac negli anni ? Falso: anche se non gestisse più il trasporto pubblico dopo una eventuale gara dovrebbe comunque essere liquidata, non potendo partecipare a gare pubbliche essendo soggetta a misura concorsuale (concordato), con una voragine che colpirebbe in particolare i piccoli creditori (chirografari) cioè le piccole realtà dell’indotto, non certo le banche che si sono senz’altro premunite di garanzie sui crediti (ipoteche sugli immobili). L’unica speranza per questi soggetti è un percorso di risanamento e gestione oculata che potrebbe portare, nel tempo, a sanare le pendenze accumulate e rientrare dell’esposizione. Facile intuire cosa ciò significherebbe per il tessuto economico cittadino… Da sottolineare anche il pressoché certo deterioramento delle condizioni di lavoro per i dipendenti e il probabile ridimensionamento della forza lavoro;
  3. Nel secondo quesito proposto si situa una vera e propria polpetta avvelenata nella consultazione: i servizi pubblici non di linea sono quel ‘capitalismo delle piattaforme’ (Uber, autobus low cost, riders…) che radicano il loro modello di impresa sulla disinvoltura fiscale, la deregolamentazione del lavoro e l’aggressione alle potestà regolative delle istituzioni pubbliche. Per noi di Indipendenza c’è anche un ulteriore motivo per rigettare questo tipo di operatori: esse sono espressione di quei vincoli derivanti dalla condizione di succube sudditanza dell’Italia alla filiera euroatlantica che ha reso il nostro Paese, dal secondo dopoguerra a oggi, sostanzialmente un protettorato atlantico. Nostro approfondimento 
  4. Con la messa a gara finiranno gli stipendi elefantiaci ai dirigenti e agli organi apicali Falso: proprio nelle società privatizzate si sta assistendo ai maggiori compensi per manager e consiglieri di amministrazione, ovviamente tali emolumenti sono pagati comunque dall’utenza che acquista il servizio (cfr. Telecom)
  5. La proposta dei Radicali è ben più ampia e riguarda tutto il sistema della connettività urbana, favorendo anche le altre modalità accanto al TPL (Anche per i servizi di trasporto non di linea è necessario aprire alla concorrenza, consentendo che diversi soggetti, sulla base di un regolamento comunale, possano offrire opportunità alternative di mobilità, anche avvalendosi degli strumenti più innovativi messi a disposizione dalla tecnologia, per garantire alla città forme di mobilità integrative che possano soddisfare, nel loro complesso, la domanda di trasporti dei cittadini, superando così alcune delle incertezze e le opacità normative che non consentono al settore nel suo complesso di svilupparsi in tutte le sue potenzialità).Sistemi come Uber sono fondati sullo sfruttamento del lavoro, sull’elusione fiscale e portano all’arricchimento di compagini societarie estere tutt’altro che trasparenti.
  6. Atac è un’impresa decotta. Falso: dalla lettura del bilancio 2016 (ultimo disponibile on line p.8): Al netto dei suddetti accantonamenti la perdita sarebbe stata pari a circa euro 39 milioni. Dai dati rilevati dalla precedente gestione, nel 2016 il MOL è stato positivo (+82,6 milioni di euro) ed in crescita di circa euro 27 milioni rispetto al 2015, seppure al di sotto delle aspettative come incidenza sul valore della produzione. Il MOL (margine operativo lordo  conto economico riclassificato a p.55 ) è un indicatore fondamentale per capire l’andamento di un’impresa, esso indica, in sostanza la sua capacità di generare reddito attraverso la gestione ordinaria. Un MOL positivo indica la sussistenza di una struttura imprenditoriale recuperabile intervenendo sulle altre voci che appesantiscono il risultato complessivo.
  7. Chi potrebbe avere interesse a una liquidazione di Atac? Per esempio gli immobiliaristi: basta scorrere (pp. 53 ss al link sopra) la lista di immobili da alienare per capire che si tratta di aree di potenziale appetito per la speculazione del cemento…
  8. In caso di vittoria del SI, il problema uscirà definitivamente dal campo visuale dei cittadini romani e dei loro rappresentanti. Per essere gestito da altri. Ragione ad un tempo necessaria e sufficiente per VOTARE NO.

 

Indipendenza

25 ottobre 2018

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Referendum: qualche considerazione sul secondo quesito. Da Atac a Uber?

Come noto l’11 novembre i quesiti saranno due: il primo sulla messa a gara del servizio di trasporto pubblico locale e il secondo con il seguente testo:

“Volete voi che Roma Capitale, fermi restando i servizi relativi al trasporto pubblico locale di superficie e sotterraneo ovvero su gomma e rotaia comunque affidati, favorisca e promuova altresì l’esercizio di trasporti collettivi non di linea in ambito locale a imprese operanti in concorrenza?”

Ma chi sono, esattamente, questi “trasporti collettivi non di linea…operanti in concorrenza”?  E chi sarebbero i soggetti da “favorire e promuovere”?

A pensar male la mente corre ai colossi della gig-economy come Uber, cui non è un mistero che i promotori della consultazione guardino con favore in termini sistemici e di modello.

Nel sito mobilitiamoroma, sulle ‘faq’ relative al referendum non fanno cenno a chi, quali e secondo che modalità questo tipo di servizi dovrebbe essere normata e favorita, quel che è fuori dubbio è che le grandi piattaforme di gestione della mobilità e della logistica (autobus low cost, servizi a domanda come Uber, rider, risciò/operatori ‘last mile’…) radichino il proprio operare su alcuni pilastri comuni: sfruttamento, parcellizzazione e deregolamentazione del lavoro, disinvoltura fiscale e aggressione alle potestà normative delle autorità pubbliche, da quelle nazionali fino a quelle degli enti pubblici locali.

Non appare difficile intuire cosa potrebbe succedere se un Comune-uno a caso…- si ritenesse addirittura ‘vincolato’ a favorire e legittimare questo tipo di piattaforme: per scongiurare questo tipo di rischi è importante votare e far votare NO anche al secondo quesito: rifiutiamo i ‘cavalli di troika’.

Per noi di Indipendenza c’è anche un ulteriore motivo per rigettare questo tipo di operatori: esse sono espressione di quei vincoli derivanti dalla condizione di succube sudditanza dell’Italia alla filiera euroatlantica che ha reso il nostro Paese, dal secondo dopoguerra a oggi, sostanzialmente un protettorato atlantico.

Di seguito uno spezzone sulle vicende giudiziarie che hanno coinvolto Uber e il contenzioso con i suoi autisti nel Regno Unito:

qui il link per vedere l’intera puntata ‘Lavoratori alla spina’

e un’inchiesta su Uber e un video (dedicato a Uber dopo il min. 8) di byoblu:

 

 

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